Perchè Taiwan?

Mappa Cina antica

Questa sopra è la “Current Situation map” prodotta ad Hong Kong nel 1898. La grafica ben rappresenta come fosse percepito in quel periodo l’atteggiamento predatorio delle potenze straniere, rappresentate in forma antropomorfa, nei confronti della Cina. Un periodo segnato da indicibili sofferenze per la popolazione cinese, da una guerra dell’oppio e importanti cessioni territoriali, definite “ concessioni”  a potenze europee finite con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC). Basta un colpo d’occhio per comprendere la storia di divisioni e soprusi di cui è stata vittima la Cina, che hanno portato alla cessione di colonie come Hong Kong e Macao, alle guerre Sino-Giapponesi, infine,  dopo la vittoria della prima guerra mondiale, all’umiliazione che ha visto la triplice alleanza deludere le aspettative della giovane prima Repubblica di Cina, che si aspettava la restituzione dei territori dati in concessione alle potenze colonialiste europee, che invece  furono semplicemente riassegnati sempre a potenze europee.

Il potere imperiale invece viene rappresentato da figure corrotte moralmente riconoscibili dai tipici abiti di foggia imperiale. Non è un caso che proprio da Hong Kong sia partita la rivoluzione che portò alla formazione nel 1912 della Prima Repubblica Cinese e alla definitiva caduta dell’impero Qing. Il padre della Repubblica, Sun Yatsen, anche fondatore del Kuomintang ( KMT ), considerato anche padre della Cina Moderna, è una figura rispettata da tutti i cinesi,  inclusi i nazionalisti del KMT rifugiatisi a Taiwan dopo la sconfitta subita ad opera dei comunisti di Mao.

Deng Xiaoping,  con grande intelligenza politica e con un occhio sull’unificazione con Taiwan, ha inventato la formula “ Un Paese due sistemi”, allo scopo di armonizzare la riunificazione con aree strappate con la forza alla madre patria cinese dalle potenze occidentali.

Come vedremo in seguito, il Kuomintang ( KMT ) di Chiang Kai-shek che ha governato l’isola di Taiwan fino al 2016, è lo stesso che, ancora in carica al governo della Cina continentale nel 1941, ha stralciato tutti gli accordi per cui la Cina aveva ceduto Taiwan e le isole Penghu ai giapponesi al termine della prima guerra sino-giapponese. Alla luce di ciò, risulta evidente che fosse complicato per i nazionalisti del KMT  giustificare istanze indipendentiste e negare che Taiwan fosse parte di una sola Cina.

La storia e i trattati

I primi riferimenti storici cinesi su Taiwan risalgono al periodo dei Tre Regni (220-280), in particolare nel “Seaboard Geographic Gazetteer”, attribuito a  Shen Ying, nel periodo di regno della dinastia Sui (581–618), la corte imperiale cinese inviò le sue truppe sull’isola di Taiwan in tre differenti occasioni. E a partire dalle dinastie Song ( 960-1279) e Yuan (1271-1368), i governi centrali imperiali della Cina istituirono organi amministrativi cinesi per la gestione amministrativa delle isole di  Penghu e Taiwan.

Nel 1624, i colonialisti olandesi invasero e occuparono la parte meridionale di Taiwan. Nel 1662, il generale Zheng Chenggong, acclamato come un eroe nazionale, guidò una spedizione cinese che li espulse dall’isola. Successivamente, la corte  della dinastia Qing ha gradualmente istituito più organi amministrativi a Taiwan, fino al 1684 quando  fu istituita ufficialmente l’ amministrazione della prefettura di Taiwan sotto la giurisdizione della provincia del Fujian. Nel 1885 ( dinastia Qing), lo status di Taiwan è stato definitivamente aggiornato e per decreto imperiale l’isola è stata dichiarata la 20a provincia dell’impero cinese.

Nel luglio 1894 (periodo imperiale Qing), il Giappone lanciò una guerra di aggressione contro la Cina, e nell’aprile dell 1895 i cinesi, sconfitti, furono costretti a cedere Taiwan e le isole Penghu al Giappone.

Durante la guerra civile  e di resistenza contro l’aggressione giapponese (1931-1945) già il 15 maggio 1937 i comunisti cinesi reclamavano la restituzione di Taiwan alla Cina, ed è noto che Mao si espresse chiaramente  con il giornalista statunitense Nym Wales, affermando che l’obiettivo della Cina era di ottenere una vittoria sul Giappone recuperando tutti i territori cinesi occupati nel nord-est della Cina e a sud di Shanghai, assicurando anche la liberazione di Taiwan.

Il 9 dicembre 1941, il governo della prima repubblica cinese fondata nel 1912,  che era ancora a guida nazionalista con il KMT di Chiang kai-shek,  emise una dichiarazione di guerra contro il Giappone e proclamò l’abrogazione di tutti i trattati, le convenzioni, gli accordi e i contratti relativi alle relazioni tra Cina e Giappone e che la Cina avrebbe recuperato Taiwan e le isole Penghu.

Il 1° dicembre 1943  , la Dichiarazione del Cairo (emessa dalla Cina, sempre a guida nazionalista del KMT, Stati Uniti e Regno Unito) affermava che era scopo dei tre alleati che tutti i territori che il Giappone aveva sottratto alla Cina, come la Cina nord-orientale, Taiwan e le isole Penghu, avrebbero dovuto essere restituite alla Cina.

Il 26 luglio 1945, la proclamazione di Potsdam, firmata da Cina, Stati Uniti e Regno Unito e successivamente riconosciuta dall’Unione Sovietica, ha ribadito: “I termini della dichiarazione del Cairo devono essere rispettati”. Nel settembre dello stesso anno, il Giappone firmò la resa, in cui prometteva di adempiere fedelmente agli obblighi previsti dalla dichiarazione di Potsdam.

Il 25 ottobre il governo cinese annunciò la ripresa  della sovranità su Taiwan con una cerimonia tenutasi a Taipei per l’ accettazione della resa del Giappone. Oggi gli Stati Uniti, come purtroppo abbiamo visto accadere anche in altre occasioni poi sfociate in conflitti armati, si  rimangiano quanto detto e confermato pubblicamente, con la dichiarazione del Cairo e la proclamazione di Postdam, sostenendo che entrambe non hanno valore legale.

Il 1° ottobre 1949, al termine della guerra civile e del conflitto sino-giapponese, fu fondata la Repubblica Popolare Cinese (RPC), che successe alla Repubblica cinese (1912-1949), e il governo popolare centrale divenne l’unico governo legittimo dell’intera Cina. Questo governo  ha quindi sostituito il precedente regime del Partito Nazionalista Cinese (KMT) in una situazione in cui la Cina, in quanto soggetto di diritto internazionale, non è cambiata e la sovranità e il territorio della Cina non sono mutati. Come risultato naturale, il governo della RPC avrebbe dovuto godere ed esercitare la piena sovranità sulla Cina, inclusa la sovranità su Taiwan,  sostenuta da USA e forze occidentali. Viceversa, l’amministrazione del KMT, ritiratasi nell’Isola di Taiwan dopo la sconfitta, ha continuato per anni ad occupare illegalmente i seggi di rappresentanza della Cina alle Nazioni Unite e nelle altre organizzazioni internazionali.

Come risultato della guerra civile in Cina e dell’interferenza di forze esterne alla fine degli anni ’40, le due sponde dello Stretto di Taiwan hanno vissuto un periodo di prolungato scontro politico. Questo non significa però che  la sovranità territoriale della  Cina sia stata alterata o che lo status di Taiwan come parte del territorio cinese sia stato modificato

Nell’ottobre 1971, nella sua 26a sessione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 2758, che si impegnava “a ripristinare tutti i legittimi diritti della Repubblica Popolare Cinese e a riconoscere i rappresentanti del suo governo come gli unici legittimi rappresentanti della Cina presso le Nazioni Unite”. Si impegnava “espellere immediatamente i rappresentanti del governo di Jiang Kaishek (KMT) dal posto che occupavano presso le Nazioni Unite e in tutte le organizzazioni ad esse collegate”.  L’occupazione di questi seggi da parte del governo nazionalista di Chiang kai-shek dal 1949 al 1971 è stata quindi illegale, dato che il governo cinese in carica era ormai da oltre 20 anni quello della Repubblica Popolare Cinese.

La risoluzione 2758 definisce il principio della cosiddetta “One China” (una sola Cina), sancendo l’autorità legale della RPC su tutto il territorio cinese, inclusa l’isola di Taiwan. Questo spiega perché non sia accettabile da parte cinese il reclamare un seggio delle Nazioni Unite o di qualsiasi altra organizzazione internazionale la cui appartenenza sia limitata agli Stati sovrani da parte taiwanese, ed ha risolto una volta per tutte le questioni politiche, legali e procedurali della rappresentanza cinese alle Nazioni Unite. Da allora, esiste un solo seggio alle Nazioni Unite per la Cina, confermando che non esistono “due Cine” o “la Cina da un lato e  Taiwan dall’altro”.

Le agenzie specializzate delle Nazioni Unite hanno successivamente adottato ulteriori risoluzioni, ripristinando le proprie sedi legali nella  Repubblica Popolare Cinese ed espellendo i rappresentanti delle autorità di Taiwan. Una di queste è la Risoluzione 25.1 adottata alla 25a Assemblea Mondiale della Sanità nel maggio 1972. Nei pareri legali ufficiali dell’Office of Legal Affairs del Segretariato delle Nazioni Unite si afferma con chiarezza che  “le Nazioni Unite considerano ‘Taiwan’ una provincia della Cina senza uno status separato”, e “le ‘autorità’ di ‘Taipei’ non sono considerate… godere di alcuna forma di status di governo”. Alle Nazioni Unite l’isola è chiamata “Taiwan, Provincia della Cina”.

Affermare che lo status di Taiwan deve ancora essere determinato, dichiararsi a sostegno di una “partecipazione di Taiwan nel sistema delle Nazioni Unite”  sono dichiarazioni chiaramente percepite dalla RPC come delle provocazioni , e sono in netto contrasto con quanto stabilito dai trattati internazionali.

Le pressioni, la recente visita di Nancy Pelosi e quella di  altri membri del congresso Statunitense recatisi in visita ufficiale a Taiwan, equivalgono a buttare benzina sul fuoco e sembrano voler scatenare intenzionalmente un confronto, anche militare, con la Repubblica Popolare della Cina.

Ancora una volta abbiamo sotto gli occhi il tentativo di generare scenari di crisi,  per scopi geopolitici ed economici, mettendo a rischio la pace mondiale, confondendo i sentimenti delle opinioni pubbliche occidentali, mescolando sapientemente narrazioni che hanno buon gioco su chi ignora i presupposti storici e giuridici di aree tanto remote del mondo.

Ad oggi un totale di 181 Paesi, compresi gli Stati Uniti e tutti i paesi dell’UE , hanno stabilito relazioni diplomatiche con la RPC sulla base del principio dell’unica Cina. Il comunicato congiunto Cina-USA sull’instaurazione delle relazioni diplomatiche, pubblicato nel dicembre 1978, afferma che: “Il governo degli Stati Uniti d’America riconosce la posizione cinese secondo cui la Cina è una sola e Taiwan fa parte della Cina”. Afferma inoltre: “Gli Stati Uniti d’America riconoscono il governo della Repubblica Popolare Cinese come l’unico governo legale della Cina. In questo contesto, il popolo degli Stati Uniti manterrà relazioni culturali, commerciali e altre relazioni non ufficiali con il popolo di Taiwan”.

Nel 2016, con l’elezione della presidentessa Tsai Yingwen, primo governo non guidato dai nazionalisti  del KMT, assistiamo dunque all’interruzione del processo di ricongiungimento lento, ma pacifico, tra Cina e Taiwan.

La RPC ritiene che questa questione sia una questione che RPC e Taiwan devono risolvere tra loro, mentre l’intromissione  da  parte di una super potenza e dei suoi alleati, invece di veicolare soluzioni, rischia di produrre un effetto che nessuno desidera, uno scontro tra Cina e Stati Uniti, con conseguenze difficili da immaginare sul piano militare e disastrose sul piano sociale ed economico in un momento in cui le popolazioni del mondo sono già messe a dura prova dalle conseguenze della guerra Russo-Ucraina.

Smilitarizzazione l’unica risposta anche per l’area dell’Asia Pacifico

L’isola di Taiwan fu definita negli anni ’50 dallo stesso Generale Statunitense Mc Arthur come una “ portaerei inaffondabile”, e così veniva considerata anche dal Giappone nel breve periodo di occupazione dell’Isola.  In virtù del concetto “una Cina, due sistemi” di Deng Xiaoping, il problema non sarebbe l’indipendenza di Taiwan, un’ indipendenza che di fatto esiste già, ma la sua posizione nella  politica internazionale, che resterebbe fermamente sotto controllo della Repubblica Popolare Cinese. Sembra quindi che tutto ruoti intorno agli interessi geopolitici, con buon gioco del settore industriale militare, mentre si discute di Valori democratici o diritti umani,  tutti concetti che diventano spazzatura quando si avviano conflitti militari.

Allo stato attuale, il conflitto sullo Stretto di Taiwan potrebbe fornire i motivi scatenanti all’innescarsi di un’altra guerra tra  grandi potenze. Gli Stati Uniti si sono riservati l’uso della “ carta Taiwan” per mantenere il proprio dominio sulla Cina sfruttando al massimo il rapporto a somma zero dei rapporti sinora costruiti tra Taiwan e la Cina. Ma la situazione della crisi attuale è diversa da quella delle crisi passate. Le esercitazioni militari e le attività di addestramento dell’Esercito Popolare di Liberazione della RPC che hanno preso di mira principalmente Taiwan, non gli USA, vista l’ingente presenza di mezzi militari occidentali nell’Asia-Pacifico,  potrebbero essere motivo di incidenti scatenando un confronto militare diretto tra Cina e Stati Uniti.

Nel frattempo, gli Stati Uniti, che hanno beneficiato del tradizionale rapporto con Taiwan,  stanno promuovendo le esportazioni di armi verso Taiwan. Lo scorso 17 giugno, Jim Banks, membro del Comitato per i servizi armati della Camera degli Stati Uniti, ha annunciato il Taiwan Weapons Export Act per la consegna accelerata di armi “critiche” a Taiwan.  Il disegno di legge si aggiunge ad un altro proposto dal senatore Josh Hawley emesso il 7 aprile. Attualmente, l’industria della guerra sta realizzando enormi profitti, mentre costringono le popolazioni, le classi subalterne, i lavoratori, il popolo interessato dalle crisi,  da guerre e conseguenti disastri sociali, non solo in Asia orientale ma in tutto il resto del mondo.

La logica guerrafondaia del complesso militare-industriale, che si basa sul presupposto che gli armamenti devono essere prodotti e quindi utilizzati, dovrebbe essere definitivamente respinta al mittente. Il rischio di un’escalation nucleare è estremamente realistico. La priorità quindi deve essere una e una sola, interrompere il circolo vizioso delle provocazioni e fermare la corsa agli armamenti nucleari nella regione dell’Asia orientale con una tenace resistenza contro la guerra e alla militarizzazione.

Privilegiare il diritto alla pace, invece di incrementare  alleanze militari e relativi interessi economici, può aiutarci  a trovare la strada che riporti al centro un lavoro comune dove si concentrino le risorse che oggi vengono disperse nella corsa al riarmo. Un riarmo che non aiuta ad affrontare i problemi che richiedono risposte comuni ed urgenti, come la lotta alla crisi climatica e la lotta alla povertà e che, al contrario, bloccano le iniziative internazionali che tanto faticosamente sono state messe in campo.

Herta Manent

Fonte: http://www.rifondazione.it/esteri/

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