05 giugno 2020
Quando le compagne e i compagni del “collettivo Cuba Va” ci hanno chiesto di raccontare l’esperienza di viaggio a Cuba, abbiamo pensato che il nostro tempo lì, breve anzi brevissimo, avrebbe potuto essere ugualmente rappresentato…senza fatica. Il motivo? L’entusiasmo che ancora oggi, nonostante siano passati tre mesi, mentre scriviamo, ci assale. Proprio così.
Un viaggio voluto e organizzato che ambiva ad essere lungo e non lo è stato; voleva toccare metà isola, passando da Cienfuegos, Trinidad, Santa Clara e non è stato; voleva essere una risposta alle mille domande e…invece no. Tutto diverso. Era l’11 marzo e le autorità cubane, con i primi contagi riscontrati nell’isola, tre turisti italiani arrivati a Cuba il giorno prima, hanno chiuso le città che avevamo pensato di visitare. Proprio Cienfuegos, Trinidad e Santa Clara.
All’Avana, l’impatto con una umanità MAI vista prima, ha colpito prima la nostra testa e poi il nostro cuore, abituato alle indigestioni capitalistiche di merci e pubblicità.
Già nel taxi che ci accompagnava alla prima casa particular – appena scoppiato il coronavirus- siamo stati cullati dalle prime parole di solidarietà umana per quanto stava accadendo in Italia e a noi… Aggiungendo subito dopo che loro, anzi i loro medici ci avrebbero aiutati. In quel momento ci è sembrato un po’ incredibile e abbiamo pensato d’aver trovato, magari, una brava persona, come ce ne sono tante. Mai, previsione di taxista si dimostrò più vera! Alla luce di quanto è successo e dopo soli 10 giorni!
In una situazione di grande difficoltà per il pianeta intero, a causa della pandemia che stava dilagando soprattutto in Europa, siamo stati costretti a riprendere il volo che ci riportava (alla veloce!) al nostro grigio e raffinato mondo occidentale, sì, ma INSIEME, come in una predizione orisha della santeria, alla Brigata Medica che partiva proprio per venire in Italia, in Lombardia precisamente.
La discesa di quelle scale, all’aeroporto José Martí dell’Avana, annunciata dagli altoparlanti, oltre che da alcuni “invidiosissimi” amici rimasti a casa che avevano subodorato la cosa, ci ha regalato uno di quei momenti indimenticabili nella vita.
Essere riusciti a riprendere con un telefonino tutti quegli applausi, che sembravano non smettere mai, la vista di quei camici bianchi, macchiati solo dagli zainetti e dalle bandierine dei nostri due paesi; l’incedere orgoglioso, fiero e sorridente dei medici, e soprattutto essere riusciti tempestivamente ad inviare, nei pochi minuti antecedenti l’imbarco, quel filmato artigianale con un carico emotivo fortissimo… tutto questo ci ha ricordato che l’umanità può essere il principale veicolo di una felicità non banale!
In quei pochi giorni persi tra l’ansia di vivere e guardare tutto il possibile, ogni volta il significato che si affacciava era sempre e di nuovo lo stesso. L’Umanità. Con mille facce, ma presente in ogni sguardo, in ogni azione, in ogni incontro, che con ostinazione cercavamo di paragonare con lo scorrere della vita nelle nostre città, piene di arte e bellezza, ma purtroppo senza riuscirci.
Come donna poi, soprattutto ho provato forte un senso di sicurezza e libertà mai vissuto in nessun’ altra città del mondo! Anche di questo ero stata avvisata, ma vivere la realtà è ben altra cosa. Nel nostro “Belpaese” le donne sono maltrattate e uccise ad un ritmo di una ogni tre giorni, in un clima di sordido silenzio delle istituzioni, nonostante le buone e volenterose leggi.
Vedere giovani ragazze, signore, mamme sole o in compagnia, camminare tranquille nelle strade a qualsiasi ora del giorno e della notte, in attesa di un bus o di un taxi o in un giardino Wi-Fi, è stato bello come riprendere speranza nel futuro!
Ed è lo stesso valore che si percepisce quando si parla di bambini e di anziani, specie se in difficoltà…
Non credo siamo “stati fortunati” come qualcuno ci ha detto, credo sia altro. “Altro” come condivisione, solidarietà, amicizia, di nuovo umanità… Abbiamo imparato tantissimo da questo viaggio e l’esperienza dei medici nella nostra città non fa che aggiungere punti alla nostra idea, e cioè che si può vivere anche in altro modo.
Il sorriso e la forza che derivano da quel modello di società d’ispirazione socialista, hanno bisogno di essere non solo fortificati ovunque, ma raccontati senza il pregiudizio di una propaganda ignorante (e scaltra), che ha l’interesse a spegnere quella storia – unica nel suo genere – di resistenza forte, che alla fine fa innamorare e battere forte il cuore…
Un piccolo Paese, con poco più di undici milioni di abitanti (più o meno come la nostra Lombardia), dove per fortuna il profitto non è la loro bandiera e i valori importanti su cui si fonda la società sono il senso di collettività, il ruolo dell’essere umano, la dignità e la salute, l’istruzione, la cultura e l’arte a cui tutti possono avere accesso.
Un piccolo Paese con un PIL procapite di 10.200 pesos convertibiles (più o meno equivalenti all’euro), dove i cittadini si sentono sicuri e si vantano della sicurezza nelle loro città. Una sicurezza prodotta da una pacifica convivenza civile, che sembra abbia debellato per sempre l’odio razziale; anzi, è proprio sulle differenze che la Rivoluzione Cubana ha costruito quel modello. All’Avana nessuno è armato, compresa la polizia, e nessuno si sente minacciato dalla diversità. Si respira la libertà insomma, quella vera!
Ci sono differenze economiche? Certamente! C’è dibattito? Svariati punti di vista sul come e cosa fare in questo tentativo di declinazione dei principi di una società socialista? Certamente! Ma a riprova di ciò un amico e avvocato dell’Avana, Rafael, mi ha detto: “la grandissima parte del popolo cubano è contro l’imperialismo e le multinazionali e sono certo che, anche nelle diverse opinioni, non svenderebbe mai la società e il modello sociale costruito, in cambio di una società preda del denaro, dello sfruttamento e della sopraffazione”.
Un piccolo Paese pacifico, che da 60 anni è vittima della più grande potenza economica dell’occidente capitalista.
Sanzioni, blocco economico, attentati alla sicurezza nazionale e continue e rinnovate campagne di denigrazione contro il sistema di governo cubano, sono ancora oggi gli ingredienti che la “democratica America” usa contro il popolo cubano.
Il 7 novembre 2019 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione con l’intento di rimuovere il Blocco economico. A favore della risoluzione hanno votato 187 Paesi. Soltanto tre i voti contrari, ovvero quelli di USA, Israele e Brasile. A partire dal 1992, ogni anno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha condannato il Blocco economico, finanziario e commerciale imposto a Cuba come una violazione del diritto internazionale, e Israele è l’unico paese che si unisce regolarmente agli Stati Uniti nel votare a favore del Blocco stesso. E gli USA, in barba all’ONU, continuano non solo ad imporlo a Cuba con i più assurdi pretesti, ma anche a perseguitare e sanzionare paesi e soggetti terzi che al Blocco non si allineano.
Un piccolo paese pacifico, costretto come può a difendersi dalla più grande potenza economica. Eppure, al netto delle difficoltà, capace di resistere e fare grandi cose, che noi nel nostro mondo patinato ma putrefatto, che narcotizza e corrompe nel tempo le nostre coscienze, non siamo più in grado di cogliere.
Un piccolo paese, con poche risorse, ma dove tutti si sentono inclusi e godono di diritti fondamentali, per tutti e gratuiti: assistenza sanitaria, istruzione e cultura, che la nostra strombazzata prosperità non è in grado di affermare.
Noi, delle cosiddette società ricche, guardiamo il PIL procapite statunitense, dove vive il 41% di tutti i super milionari del pianeta, ma non vediamo più la destituzione e l’abbandono umani dei circa 106 milioni di cittadini americani poveri (il 30% della popolazione, i dati sono del 2014 pubblicati su “The American Class Structure, cit. p. 226), che fanno fatica a far fronte ai bisogni più elementari. Non vediamo neppure più che l’assistenza sanitaria è un privilegio per chi ha i soldi e lo stesso dicasi per l’istruzione, la casa, ecc. Tanto che, ancora oggi essere povero negli USA non è soltanto una colpa, ma per la stessa puoi essere anche punito a norma di legge! Altro che solidarietà, empatia, comunità! Non solo, ma il povero è diventato un affare nell’assistenza delegata ai privati e quindi più poveri ci sono… e più aumentano i profitti!
Nel 2014, nonostante la recessione del 2008, la ricchezza è continuata ad aumentare ad un ritmo senza precedenti (+50% dal 2008), e la sua concentrazione ha prodotto un aumento di milioni di nuovi poveri, scartati come rifiuti umani dalle nuove regole del mercato globale, con zero diritti e nessuna protezione sociale. Allora perché Cuba? Perché cerca di declinare un modello sociale ispirato al Socialismo? Forse. Come diceva Malcom X, “se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone oppresse e amare quelle che opprimono”.
Ultima riflessione: al 31 maggio del 2020, il tasso di mortalità del covid-19 in Italia è al 14% (rispetto al numero totale dei contagi, 233.019) e la tanto propagandata sanità lombarda ha avuto il 48,27% dei morti su 33.415 decessi totali, da coronavirus. A Cuba, invece, il tasso di mortalità è del 4,06% sul totale dei contagiati, pari a 2.045.
L’importanza di un sistema sanitario pubblico, capillare, territoriale e gratuito, come quello cubano, dimostra con dati impietosi la superiorità di Cuba rispetto alla stragrande maggioranza dei paesi del mondo intero, non solo nel garantire al popolo il diritto alla salute, ma anche ad affrontare crisi ed emergenze come quella pandemica.
Grazie per aver condiviso con noi questa esperienza meravigliosa che oltre a toccare il cuore apre la mente a tante riflessioni .
Grazie Bruno, per il tuo generoso e affettuoso commento. Sperando di poterci incontrare da qualche parte – quando si potrà! – ti rivolgo un grande abbraccio… e quando hai tempo e voglia seguici