“Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, scriveva George Orwell in 1984. I governi cercano continuamente di distorcere la percezione pubblica del passato.
Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, l’amministrazione Biden ha ripetutamente e falsamente affermato che il conflitto è iniziato con l’invasione ingiustificata del Paese da parte della Russia, il 24 febbraio 2022. In realtà, la guerra è stata provocata dagli Usa e i principali diplomatici statunitensi lo avevano previsto almeno da dieci anni. Ciò significa che il conflitto si sarebbe potuto evitare e che ora dovrebbe essere fermato attraverso i negoziati.
Riconoscere che la guerra è stata la risposta a una provocazione non è un modo per giustificare l’invasione russa, ma un modo per capire come fermare la carneficina. Per la Russia, una strada di gran lunga migliore sarebbe stato di intensificare la diplomazia con l’Europa e con il mondo non occidentale per contrastare il militarismo e l’unilateralismo statunitense. La spinta verso l’espansione della Nato, così fortemente voluta dagli Usa, è molto malvista dal resto del mondo e Mosca avrebbe ottenuto probabilmente molto più successo dispiegando i suoi diplomatici invece di scatenare un conflitto militare.
Il presidente americano e il suo entourage descrivono continuamente questa guerra con il termine “unprovoked” (ingiustificata, non provocata, ndt). Basti leggere, e sono solo i casi più recenti, il discorso di Biden nel primo anniversario dell’invasione, il comunicato stampa della Nato del 4 aprile 2023 dopo la visita di Zelensky e la dichiarazione finale del G7 di Hiroshima.
(…) Le provocazioni degli Usa sono state essenzialmente due. La prima è stata la volontà di includere Ucraina e Georgia nell’Alleanza atlantica, per circondare la Russia nella regione del Mar Nero con Paesi Nato (andando in senso antiorario: Ucraina, Romania, Bulgaria, Turchia e Georgia). La seconda è stata l’instaurazione di un regime russofobico in Ucraina dopo il rovesciamento violento del presidente filorusso Viktor Yanukovych, nel febbraio 2014. La guerra in Ucraina è iniziata con il rovesciamento di Yanukovych nove anni fa, non nel febbraio 2022 come vorrebbero farci credere il governo statunitense, la Nato e i leader del G7.
Biden e i suoi consiglieri di politica estera si rifiutano di discutere queste radici della guerra, perché riconoscerle minerebbe l’amministrazione democratica su almeno tre fronti. In primo luogo, rivelerebbe che la guerra avrebbe potuto essere evitata o comunque fermata in tempo, risparmiando all’Ucraina le devastazioni attuali e agli Stati Uniti oltre 100 miliardi di dollari di spese in aiuti militari e non. In secondo luogo, rivelerebbe il coinvolgimento personale di Biden nel conflitto, in qualità di corresponsabile del rovesciamento di Yanukovych e, prima ancora, di convinto sostenitore del complesso militare-industriale americano e dell’espansione della Nato. In terzo luogo, costringerebbe Biden al tavolo dei negoziati, mettendo in discussione proprio la politica dell’allargamento dell’alleanza.
Gli archivi storici mostrano in modo inconfutabile che Washington e Berlino avevano promesso ripetutamente al presidente sovietico Mikhail Gorbaciov che la Nato non si sarebbe mossa “di un centimetro verso est” dopo che l’Urss avesse sciolto l’alleanza militare del Patto di Varsavia. Invece gli Usa cominciarono a pianificare l’espansione della Nato a est già all’inizio degli anni 90, ossia molto prima che Putin arrivasse al potere in Russia.
I diplomatici statunitensi e i leader ucraini erano ben consci che l’allargamento dell’Alleanza avrebbe potuto portare alla guerra. Lo statista americano George Kennan sul New York Times definì il progetto di Washington un “fatale errore”: “Ci si può aspettare che una tale decisione infiammi le tendenze nazionalistiche, anti-occidentali e militaristiche dell’opinione pubblica russa e che ripristini un’atmosfera da guerra fredda nelle relazioni tra Est e Ovest e che spinga la politica estera russa in direzioni decisamente sgradite per noi”.
Il Segretario alla Difesa del presidente Bill Clinton, William Perry, arrivò quasi al punto di dimettersi per protesta. Ricordando quel passaggio cruciale, in un’intervista del 2016, Perry ha detto: “Il primo atto che ci ha portato davvero su una cattiva strada è stato iniziare a espandere la Nato coinvolgendo nazioni dell’Europa orientale, alcune confinanti con la Russia. A quel tempo stavamo lavorando a stretto contatto con Mosca. I russi stavano cominciando ad abituarsi all’idea che la Nato non fosse più un nemico, ma erano molto a disagio all’idea di avere l’Alleanza fin sotto i loro confini e ci avevano caldamente invitato a non proseguire oltre”.
Nel 2008, l’allora ambasciatore americano in Russia William Burns, oggi direttore della Cia, inviò un cablo a Washington in cui descriveva nei dettagli i gravi rischi dell’allargamento della Nato: “Le aspirazioni dell’Ucraina e della Georgia a entrare nella Nato non solo toccano un nervo scoperto in Russia, ma suscitano serie preoccupazioni per le conseguenze sulla stabilità della regione. La Russia non solo percepisce questa mossa come un accerchiamento e un tentativo di ridurre la sua influenza nell’area, ma teme anche conseguenze imprevedibili e incontrollate che potrebbero compromettere seriamente gli interessi della sua sicurezza nazionale. Gli esperti ci dicono che la Russia è particolarmente preoccupata che le forti divisioni presenti in Ucraina sull’adesione alla Nato, con gran parte della comunità etnica russa contraria al progetto, possano provocare una grande spaccatura con violenze e, nel peggiore dei casi, lo scoppio di una guerra civile. In questa eventualità, la Russia dovrebbe scegliere se intervenire, decisione di fronte alla quale preferirebbe non trovarsi”.
I leader ucraini, dal canto loro, sapevano perfettamente che fare pressione per l’allargamento della Nato all’Ucraina avrebbe significato la guerra. Del resto, l’ex consigliere di Zelensky Oleksiy Arestovych ha dichiarato in un’intervista del 2019: “Il nostro prezzo per entrare nella Nato è una grande guerra con la Russia”.
Nel periodo tra il 2010 e il 2013 Yanukovych aveva sostenuto la neutralità del suo Paese, in linea con l’opinione pubblica maggioritaria. Ma gli Stati Uniti hanno lavorato segretamente per rovesciarlo, come si evince dalla registrazione di una telefonata tra l’allora vicesegretario di Stato americano Victoria Nuland e l’ambasciatore statunitense Geoffrey Pyatt in cui pianificavano il governo post-Yanukovych settimane prima del colpo di stato. Nella telefonata, Nuland riferisce di agire in stretto coordinamento con l’allora vicepresidente Biden e il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. Il trio Biden-Nuland-Sullivan oggi è nei posti di comando per decidere della politica statunitense sull’Ucraina.
Dopo il rovesciamento di Yanukovych è scoppiata la guerra in Donbass e la Russia ha rivendicato la Crimea. Il nuovo governo ucraino ha chiesto l’adesione alla Nato e gli Usa hanno armato e aiutato a ristrutturare l’esercito ucraino per renderlo interoperabile con quelli dell’Alleanza. Nel 2021 ancora la Nato e l’amministrazione Biden si sono fortemente impegnati garantire a Kiev un futuro nella Nato.
(…) Riconoscere che al centro del conflitto c’è la questione dell’allargamento Nato significa capire che le armi americane non metteranno fine alla guerra. La Russia è pronta anche all’escalation, pur di impedire l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Perciò la chiave per la pace in Ucraina è rilanciare un negoziato basato sulla neutralità del Paese e sullo stop all’espansione dell’Alleanza. L’insistenza dell’amministrazione Biden sull’entrata di Kiev nella Nato ha reso l’Ucraina una vittima delle ambizioni militari statunitensi, ambizioni sbagliate e irrealizzabili. È ora di cessare le provocazioni e di riportare la pace in Ucraina con il negoziato.
Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it
Copyright commondreams.org – Traduzione di Riccardo Antoniucci