A dieci anni dalla tragedia di Lampedusa, il susseguirsi di naufragi e stragi in mare e le almeno 28.000 persone morte o disperse nelle acque del Mediterraneo dal 2014 sembrano non essere ancora sufficienti per convincere l’Unione Europea e il governo italiano ad un cambio di approccio. Al contrario, il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 ha segnato l’inizio di una conta sempre più numerosa di morti in mare e di una serie di misure inefficaci e disumane a discapito di vite umane.
Dieci anni fa, 368 persone annegavano al largo di Lampedusa e pochi giorni dopo ne morivano altre 200, cambiando per sempre la storia del nostro mare. Evento che sembrò allora inaccettabile alle autorità italiane che, gridando ad alta voce “Mai più!”, avviarono l’operazione di ricerca e soccorso Mare Nostrum, durata poco più di un anno. Un’azione nella giusta direzione ma troppo breve che non è riuscita a scongiurare negli anni successivi un’incredibile sequenza di tragici incidenti. Tra gli altri, il naufragio nel Canale di Sicilia dell’aprile 2015 in cui morirono centinaia di persone, la strage di Cutro nel febbraio 2023, con oltre 90 vittime, e il naufragio di Pylos a giugno 2023 che uccise oltre 500 persone tra uomini, donne e bambini.
“Dopo la fine di Mare Nostrum, le autorità italiane ed europee non hanno più adottato un singolo provvedimento per rafforzare il soccorso in mare e limitare in modo concreto ed efficace il susseguirsi di tragedie nel Mediterraneo” dichiara Marco Bertotto, direttore dei programmi di Medici Senza Frontiere (MSF) in Italia. “Le decine di migliaia di persone annegate nel nostro mare in meno di 10 anni, di cui almeno 2.356 solo quest’anno, sono la limpida dimostrazione che un’azione di ricerca e soccorso su iniziativa degli Stati membri europei è non solo necessaria ma indispensabile e urgente. Almeno fino a quando non saranno messe in atto politiche più coraggiose, mirate a garantire canali di accesso sicuri in Europa e realmente efficaci per smantellare le vie illegali e mortifere incentivate dai trafficanti”.
Oltre alla grave mancanza di un sistema di coordinamento europeo per le attività di ricerca e soccorso, la nuova legge italiana in materia di gestione dei flussi migratori (15/2023) ha contributo ad ostacolare il lavoro delle organizzazioni umanitarie attive nel Mediterraneo, osteggiate e mandate strumentalmente in porti lontani. Tutto ciò, nonostante le autorità marittime italiane – sopraffatte dal gran numero di arrivi – continuino a chiedere loro supporto per salvare vite in mare.
“Le politiche e i provvedimenti sulla migrazione dovrebbero essere in linea e non in contrasto con il diritto dell’UE e del diritto internazionale in materia di attività di ricerca e salvataggio in mare. Chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita deve essere soccorso e considerato una persona prima che ‘un migrante’” afferma Juan Matias Gil, capomissione per la ricerca e il soccorso in mare di MSF. “Quanti morti annegati in mare vogliamo ancora contare? A quanti negoziati, braccio di ferro, promesse, slogan, proclami, memorandum e accordi immorali e disumani con paesi che non rispettano i minimi standard in diritti umani, dovremo ancora assistere prima che la gestione della mobilità umana venga affrontata con maturità, ragionevolezza e soprattutto umanità?”.
A dieci anni dal naufragio di Lampedusa, MSF sollecita nuovamente le autorità nazionali ed europee a garantire l’immediata apertura di canali di ingresso sicuri in Europa, rafforzando al contempo un’azione dedicata di ricerca e soccorso in mare coordinata dagli Stati membri europei.
Intervista a don Mattia Ferrari:
Cosa ti ha spinto a diventare cappellano di Mediterranea Saving Humans?
“Mediterranea è una piattaforma che unisce persone, diverse realtà associative e anche la Chiesa Cattolica.
Alcuni dei fondatori sono miei amici e mi hanno chiesto di partecipare.
Il mio diventare cappellano di questa realtà è stato solo l’inizio, ora sono molte le diocesi e le parrocchie che partecipano in vari modi alla missione. Papa Francesco è uno dei nostri sostenitori, più volte ci ha incontrato e ha espresso gratitudine e sostegno verso Mediterranea. Ci ha ricevuto in udienza diverse volte”.
Come andrebbe affrontato il tema delle migrazioni?
“Come prima cosa bisognerebbe assumere il paradigma della complessità, comprendere che non esistono soluzioni semplici.
La migrazione è un diritto umano e come tale va rispettato. Oggi molte migrazioni sono forzate a causa della crisi della giustizia globale.
Molte persone non hanno la possibilità di avere una vita degna nelle loro terre natie e la responsabilità è nostra, del nostro sistema di colonialismo economico.
Inoltre, si tende a gestire questo problema come se i migranti fossero un oggetto e non un soggetto. Si parla dei migranti, ma loro non vengono mai coinvolti. Solo nell’incontro tra oggetti è possibile la fraternità e solo quest’ultima può portare alle soluzione di sfide grandi come il fenomeno migratorio”.
Come operate?
“La nostra nave fa poche missioni, non operiamo solamente in mare. Lavoriamo anche come supporto a Refugees Lybia, il movimento di migranti in Libia.
Non siamo d’accordo con la politica dei respingimenti, è disumana e viola i diritti umani internazionali che stabiliscono, in particolare l’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati stabilisce che l’obbligo del non refoulement: ‘Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche’. Come Mediterranea condanniamo totalmente i respingimenti”.
Puoi raccontarci una storia di uno dei migranti che hai conosciuto?
“Noi siamo in contatto con diversi ragazzi che si trovano in Libia che sono stati respinti. Due storie le abbiamo raccontate pubblicamente. Due ragazzi sono stati catturati in mare dopo un respingimento e messi nei lager libici. Sono stati sottoposti a quelli che l’Onu ha chiama ‘orrori indicibili’ fino a che la loro vita non si è spenta. Siamo testimoni diretti di questo. La storia di Mohamed, che si è suicidato in un lager libico, l’ha raccontata anche Papa Francesco tornando da Marsiglia. Alcuni di loro sono cattolici, ci chiamano perché vogliono la benedizione. Mi è capitato di darla ad alcuni ragazzi, in videochiamata, perché erano in fin di vita a causa delle torture”.
Con Nello Scavo hai scritto un libro “Pescatori di uomini”. Perché questo titolo?
“ E’ l’esperienza continua che fa Mediterranea. Ma anche noi veniamo ‘pescati’: non stiamo solo facendo un’opera di salvataggio, ma ci salviamo veramente insieme. La carica umana che ti restituiscono queste persone è fortissima e davvero noi ci sentiamo salvati da loro: ci si salva solo insieme. Quello che noi dobbiamo comprendere è che tutte le crisi sono connesse: da quella migratoria a quella ambientale. Sono tutte frutto di un sistema che noi esseri umani abbiamo costruito, un sistema che è diventato insostenibile. Solo unendoci concretamente in una vera fraternità possiamo scrivere un altro sistema”.
(Intervista realizzata da Interris.it)
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