In un pamphlet provocatorio e brillante, Ercolani racconta splendori e miserie di un fondamento della società moderna, forse sopravvalutato: il pensiero critico.
«Il dramma della nostra epoca è che la stupidità si è messa a pensare»
«Questo non sarebbe niente se l’intelligenza non si fosse messa a rimbecillire» – Jean Cocteau – Robert Poulet
Che fine ha fatto la società aperta descritta da Karl Popper? Dove nasce «la gaia incoscienza» dei milioni di utenti che ogni giorno adoperano le tecnologie illudendosi che siano meri strumenti al servizio della loro volontà? Come siamo passati dall’intelligenza collettiva dell’opinione pubblica settecentesca al «delirio connettivo» di oggi? Quali danni permanenti ha prodotto il prevalere del pensiero debole? E, infine, la resistenza può arrivare dall’informazione e dalla scuola, come sono pensate e strutturate attualmente? Paolo Ercolani realizza un’agile, e allo stesso tempo impietosa anatomia filosofica della vita quotidiana: protagonisti siamo tutti noi, «figli di un io minore», informati su ogni cosa e in grado di parlare di qualsiasi argomento, senza però conoscere realmente nulla. È l’epoca della «società ottusa», dove non ci sono più punti di vista, non c’è prospettiva, ma solamente un pensiero unico. Neppure il dissenso è più possibile, perché non sappiamo da cosa dissentire e, soprattutto, come farlo. Nel frattempo ci chiudiamo sempre più in noi stessi, pronti a serrare i ranghi per respingere qualunque richiesta di aiuto, insensibili perfino davanti ai corpi di bambini inermi morti nel tentativo di raggiungere le nostre coste. Alla ricerca di nuovi scenari e soluzioni, Ercolani, parafrasando Popper, pone un interrogativo ineludibile: quale prezzo dobbiamo pagare per tornare a essere umani?