
Professor Carlo Rovelli, lei recentemente ha commentato con accenti assai positivi le virtù del sistema politico cinese. È parso un ultras di Pechino.
La disfatta dell’Unione Sovietica ha mostrato che il socialismo di Mosca non ha retto al confronto con il capitalismo. Le sinistre si sono trovate in difficoltà nel mondo intero e si sono messe a inseguire le destre. Lo strepitoso successo economico del sistema cinese, unico nella storia del mondo, e il grande consenso interno che ha il governo stanno ribaltando la conclusione. In pochi decenni la Cina ha portato mezzo miliardo di persone fuori dalla povertà estrema, ha diffuso il benessere, scolarizzato tutti, costruito la prima economia del mondo, continua a crescere a ritmo maggiore di chiunque altro.
Ma in Cina non si vota. Un solo partito al potere e una libertà di parola assai vigilata.
E questo comporta due ordini di problemi. Il primo è che le discussioni si svolgono all’interno del partito comunista e ciò rischia di rendere la leadership troppo sicura di sé. Il secondo è il pesante fardello del bavaglio in cui si vengono costrette le voci dissenzienti. Le votazioni sono una benedizione perché favoriscono la discussione e semplificano il controllo del potere da parte delle maggioranze. Ma attenzione, non dimentichiamo che sono anche una maledizione: per due motivi. Il primo è che non si vincono le elezioni senza ingenti somme di denaro. Quindi il potere finisce nelle mani di chi ha molto denaro. Le democrazie occidentali sono spesso in realtà plutocrazie: il potere è dei ricchi. Paesi come l’Italia e gli Usa sono addirittura finiti in mano a miliardari. Per questo sono sparite le tasse fortemente progressive che ridistribuivano il reddito. Il secondo è che le elezioni portano chi è al potere a mirare a farsi rieleggere, più che al bene comune a lungo termine. Una delle differenze più spettacolari fra la politica cinese e la politica occidentale è proprio questa: la leadership cinese pensa in termini di decenni, mentre i leader occidentali pensano al consenso giorno per giorno.
Lei dunque spera che la Cina prevalga sull’Occidente?
No. La Cina è una grande civiltà millenaria. Il problema non è chi prevale. Il problema, io penso, è uscire dalla folle logica dello scontro, quella di pensare che qualcuno debba sempre prevalere.
Pensa dunque che l’Europa dovrebbe avvicinarsi alla Cina?
Europa e Cina sono più vicine di quanto si dica. Il governo cinese ha la crisi climatica fra le sue priorità, sostiene le istituzioni internazionali, parla di collaborazione anziché competizione, vuole ridurre i dazi, spinge sempre per il dialogo. Se lo confrontiamo con il governo di Washington che non crede all’emergenza climatica, vuole depotenziare le istituzioni internazionali, parla esplicitamente di predominio Usa, combatte il multilateralismo, è stato pressoché ininterrottamente in guerra da un secolo, e mette dazi, chi ci è ideologicamente più vicino?
Ma la Cina è anche una dittatura, opprime il suo popolo e minaccia i Paesi vicini.
Ho viaggiato a lungo in Cina, ho insegnato all’università Normale di Pechino, ho colleghi, studenti e amici cinesi. Quell’immagine della Cina non torna proprio. Confrontata con tutte le guerre che ha scatenato l’Occidente negli ultimi decenni, la Cina è un Paese estremamente pacifico. Internamente non si sente oppressione poliziesca. Vero, il governo spia tutti, ma anche qui da noi ci spiano tutti.
Se lei però fosse un intellettuale dissidente, certo non vorrebbe esserlo in Cina.
Vero. E spero che la Cina impari da noi, ma resto convinto che l’immagine di una Cina feroce internamente ed esternamente sia solo il risultato della forsennata propaganda anti-cinese.
Perché ritiene che ci sia una “forsennata” propaganda anti-cinese?
Per due motivi. Il primo è che gli Usa stanno perdendo il primato economico. Il mio timore peggiore è che cerchino ora lo scontro armato, dato che la loro preponderanza militare è ancora soverchiante. Non durerà se la Cina continua a crescere come sta facendo. Il secondo, più profondo, è che il capitalismo che domina l’Occidente è terrorizzato dall’idea che il socialismo possa alla fine rivelarsi più efficace.
Pronostica la vittoria del socialismo cinese sul capitalismo?
La Cina sta mettendo in dubbio la legittimità della plutocrazia che di fatto governa l’Occidente. Il suo socialismo sta vincendo proprio sul piano in cui sembrava perdere: l’economia.
Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/
** E’ un fisico, saggista e divulgatore scientifico italiano, specializzato in fisica teorica. Ha lavorato in Italia e negli Stati Uniti e attualmente insegna in Francia all’Università di Aix-Marseille. Negli anni settanta ha partecipato ai movimenti politici studenteschi nell’università italiana. Ha partecipato a radio libere come Radio Alice a Bologna e Radio Anguana a Verona, della quale fu tra i fondatori.[3] In relazione a questa attività politica è stato denunciato e poi assolto per reati d’opinione legati al libro Fatti nostri. Bologna marzo 1977, che ha curato insieme a Enrico Palandri, Maurizio Torrealta e Claudio Piersanti.[3] È stato arrestato e detenuto brevemente nel 1977 per renitenza al servizio militare, allora obbligatorio in Italia.