Cuba è il “frutto maturo” che gli Stati Uniti tentano senza successo di cogliere da più di duecento anni
Raúl Antonio Capote*
da “el MONCADA”- Periodico dell’Associazione Nazionale Italia Cuba
Quella che molti chiamano la disputa Cuba-USA non è altro che la storia della resistenza di una nazione contro un vicino potente, frustrato dai suoi continui fallimenti, incapace di possederla e dominarla e, soprattutto, incapace di spezzare l’anima del suo popolo.
Dopo il trionfo della Rivoluzione cubana, il confronto si è intensificato: non era più una
colonia in lotta per la libertà, minacciata dal desiderio espansionistico del vicino, o un protettorato yankee minacciato dalle cannoniere.
Si trattava invece del conflitto tra la più grande potenza capitalista e una nazione disposta a costruire il socialismo a soli 90 miglia dalle sue coste.
La Cuba socialista, capace di resistere al più grande assedio economico della storia, con un prestigio internazionale sempre maggiore rispetto ai tentativi di demonizzarla, con un progetto sociale, economico e politico vincente, è un “pericoloso” nemico dell’Impero.
I cubani hanno commesso il crimine di insubordinazione e, nella storia dell’umanità, questo è un crimine che i potenti del mondo non perdonano mai.
D’altra parte, l’ossessione yankee di cercare di possedere l’isola di Cuba è riuscita solo a
suscitare nei cubani un irriducibile antimperialismo.
Un po’ di storia
“Il compimento del nostro destino manifesto è quello di estenderci in tutto il continente che ci è stato assegnato dalla Provvidenza”. Questa idea ha guidato le azioni dell’Impero americano fin dalla sua nascita. Thomas Jefferson, il terzo presidente degli Stati Uniti 1801-1809), progettò un piano annessionista verso il sud del continente che includeva Cuba.
Durante il mandato di James Monroe, quarto presidente americano e autore dell’omonima
dottrina “l’America agli americani” – il riferimento è ovviamente ai soli nordamericani
– i proprietari di schiavi del sud tentarono di fomentare a Cuba un movimento annessionista. John Quincy Adams, futuro sesto presidente degli Stati Uniti, in qualità di Segretario di Stato del governo Monroe, è passato alla storia per la famosa teoria del fatalismo geografico cubano, con la sua dottrina del “frutto maturo” o della “paziente
attesa”. “Ma ci sono leggi di gravitazione in politica così come ci sono in fisica, e così, come un frutto separato dall’albero dalla forza del vento non può, anche volendo, che cadere a terra, Cuba, una volta separata dalla Spagna e reciso il legame artificioso che
a essa la lega, e incapace di sostenersi autonomamente, deve necessariamente gravitare verso l’Unione nordamericana e verso di essa soltanto, mentre l’Unione stessa, in virtù delle sue leggi, non potrà fare a meno di annetterla”.
Non c’è stato un presidente dell’Unione che non abbia architettato un piano o tentato
una qualche azione per appropriarsi della perla dei Caraibi.
Franklin Pierce, il 14° presidente americano, offrì alla Spagna 130 milioni di dollari per l’isola per il Texas, un territorio molto più vasto, era stato offerto 1 milione e mezzo.
Durante le guerre d’indipendenza contro la Spagna nel XIX secolo, gli Stati Uniti non solo non riconobbero lo stato di guerra dei patrioti cubani, né i governi della República en Armas (parentesi istituzionale in cui Cuba si diede un governo indipendente dalla Spagna,
ndt), ma fecero anzi tutto il possibile per impedire l’arrivo di rinforzi, armi e rifornimenti
all’Esercito di Liberazione, confiscando armi e munizioni e altro ancora.
Si allearono con gli spagnoli, aspettando pazientemente che entrambe le parti si stancassero per poi intervenire opportunisticamente, come infine fecero nel 1898.
La splendida guerra dell’Impero
La Conferenza di Parigi del dicembre 1898 convocata per porre fine alla guerra ispano-americana, si svolse alle spalle dei combattenti indipendentisti.
La Spagna rinunciò alle sue “rivendicazioni” su Cuba, mentre le Filippine, Guam e Portorico furono ufficialmente cedute agli Stati Uniti. Così l’indipendenza per la quale avevano combattuto per tanti anni fu loro strappata.
John Hay scrisse a Theodore Roosevelt che avevano combattuto “una splendida guerra”
contro la Spagna. Per 50 anni gli Stati Uniti hanno comandato a bacchetta i presidenti in carica di una repubblica nata in catene, con un emendamento alla sua Costituzione,
l’Emendamento Platt, che autorizzava gli Stati Uniti a intervenire ogni volta che i loro
interessi erano minacciati.
Proprietari delle migliori terre del Paese, delle miniere, delle principali banche, con trattati
commerciali che li privilegiavano, autorizzati per legge a intervenire ogni qualvolta ne
avessero voglia, si sentivano finalmente padroni dell’arcipelago ribelle delle Antille.
Hanno cercato di cancellare la nostra lingua, la nostra cultura, hanno cercato in mille modi di spezzare l’anima della nazione. I cubani, inflessibili, non hanno mai smesso di cercare di scrollarsi di dosso il giogo; generazione dopo generazione si sono sollevati contro la dominazione straniera. Julio Antonio Mella, Antonio Guiteras, Rubén Martínez Villena, sono solo alcuni esempi di una gioventù patriottica che non ha mai rinunciato alle sue armi.
Tutte le armi contro Cuba
Per oltre 60 anni gli Stati Unti hanno provato di tutto per sconfiggere la Rivoluzione: le
invasioni, il blocco economico, finanziario e commerciale, il sabotaggio, il terrorismo, la
guerra culturale, la guerra biologica. Le aggressioni hanno causato al popolo cubano sofferenze indicibili; più di 3.000 persone sono morte a causa delle azioni terroristiche del governo degli Stati Uniti.
In una lettera alla moglie Giulia scritta il 6 marzo 1924, Antonio Gramsci diceva: “Cosa
mi ha salvato dal diventare completamente uno straccio inamidato? L’istinto di ribellione”.
L’istinto di ribellione ci ha reso liberi dal colonialismo spagnolo e ci ha evitato l’annessione;
Cuba non è diventata, né diventerà mai, una stella della bandiera yankee. L’istinto di ribellione, l’amore per la libertà, lo spirito di resistenza ereditato da chi ci ha preceduto
ci impediscono di diventare stracci inamidati.
* Direttore della redazione
internazionale del quotidiano Granma