Amo esta Isla, di Luigi Mezzacappa

Bambina a scuola a Cuba

Allora? Che ve ne pare? Quello che state vedendo è quello che ho visto io. Sì, d’accordo, sotto le immagini ho montato quest’allegro motivetto, ma l’ho fatto solo per consolare la vostra sventura di non poter respirare quell’aria. Credetemi: nel cambio ci avete perso…

Sì, è vero: ho un debole per quest’isola, ma… in tutta sincerità, politica e ideologia c’entrano poco o nulla con la mia infatuazione. Che mi crediate o no, è affar vostro.

Se quest’isola mi ha così stregato, più che per la politica e l’ideologia è per la sua… “biodiversità”.

Certo, è ovvio: tra le tante, anche le biodiversità politiche e ideologiche sono interessanti…

Ma… infatuazione non significa necessariamente perdere la lucidità, e poi… ho una certa età! Non voglio convincere nessuno che qui è tutto perfetto. Come potrebbe? Anche qui la società è fatta di uomini.

Il fatto è che… tante volte, i nostri giudizi e le nostre convinzioni… o convenzioni? Mah, fate voi! Voglio dire: una volta arrivati qui, il nostro modo di giudicare si rivela superficiale, quando non addirittura ipocrita…

Non si tratta di punti di vista o di ideologie, ma di capacità di mettersi nei panni di un popolo che vive in una latitudine diversa dalla nostra, in tutti i sensi, e di comprenderne la storia. Ciò che fatico a capire, in un mondo così aperto ed evoluto come il nostro, è l’incapacità di ammettere che possa esistere un modo diverso di concepire e organizzare la società senza sentirsi offesi o minacciati, o migliori…

Cuba sfugge ai nostri punti di riferimento: confusi tra la sua gente e immersi fino al collo nei mille problemi quotidiani, è inevitabile che ci assalga una domanda fin troppo scontata: quale altro criterio diverso dal nostro, il denaro, sarà usato qui, per misurare la felicità?

Sorpresa: anche qui, come… in tutto il “mondo libero”, si possono incontrare “scuole di pensiero”; anche qui la gente critica il costume e le abitudini della società. Anche qui ci sono almeno due “anime” che si confrontano: lo sviluppo e la tradizione.

E… sorpresona, le persone che si incontrano sono così consapevoli dei problemi della società e della condizione in cui vivono, che la nostra coscienza, se ne abbiamo una, dovrebbe arrossire di vergogna al solo pensiero di spiegar loro come affrancarsi.

Prima di liquidare Cuba come Paese senza libertà e diritti, bisognerebbe almeno cercare di capire di quale libertà e diritti parliamo. I Paesi sviluppati considerano diritti le libertà individuali di espressione e di stampa, di impresa, di movimento e circolazione. Per i Paesi poveri i diritti sono la salute, il lavoro, la casa, l’educazione e lo sport, categorie che il mondo sviluppato dà per scontate, spesso dimenticando di soccorrere chi non sta al passo, e non per colpa sua. Sia chiaro, sono temi complessi, ma è sconcertante la superficialità con cui vengono affrontati dai più diffusi mezzi di informazione di tutto il mondo. La libertà di pensiero non può essere esercitata da chi non ha accesso all’istruzione, alla sanità e ai media, servizi che nel mondo ricco sono democraticamente assicurati… a chi ha i soldi. Cosa succede, invece, nei Paesi poveri?

E’ una questione di priorità: in certi posti viene prima la libertà di alcuni che, riconoscenti, agiranno per il bene della comunità; in altri, viene prima la dignità di tutti.

La dignità va a braccetto con l’identità. E’ legittimo che un Paese voglia difenderle. Niente di male, no? E’ una scelta. E’ un diritto. Qualcuno è contro i diritti?

Prima di canzonare l’indolenza e la disorganizzazione, sarebbe utile ricordare che Cuba “abita” in un Continente che non ha la fortuna di conoscere le dinamiche delle società evolute, e quando l’ha avuta, ha poi dovuto pagarne il conto. O com’era la nostra bella Italia solo 60 anni fa, prima del boom economico innescato da generosi e benevoli capitali stranieri…

Prima di accusare Cuba di non essere democratica perché ha un solo partito, i nostri illuminati Governi dovrebbero spiegarci perché intrattengono proficui rapporti d’affari con altri Paesi colpevoli dello stesso crimine o che addirittura non hanno neanche un partito, o illustrarci quanto siano preferibili le democrazie dove vince chi ha più soldi da spendere in campagna elettorale.

La nostra libera informazione ci racconta un sacco di cose su Cuba, ma chiunque, se solo vuole, può scoprire che con le notizie che non ci racconta, di sacchi potrebbe riempirne due!

Per esempio, gli indicatori sociali riportati da Amnesty International ci forniscono un quadro diverso da quello consolidato nell’opinione diffusa: l’aspettativa di vita è inferiore di soli sei mesi a quella degli Stati Uniti; l’alfabetizzazione è ai primi posti della classifica mondiale e il tasso di mortalità infantile è il più basso in assoluto di tutto il continente americano, Stati Uniti compresi.

L’Unicef ci informa che Cuba è l’unico paese latinoamericano ad aver cancellato la malnutrizione infantile; l’ONU pone Cuba all’avanguardia in materia di sviluppo umano, nonostante le limitazioni dell’embargo imposto 50 anni fa dagli Stati Uniti.

Ci parlano del dramma della carenza di medicinali, ma non delle eccellenze raggiunte in molti settori della Sanità e nella preparazione di medicamenti a base naturale, dove si è fatta di necessità virtù per l’impossibilità di reperire i componenti chimici proprio a causa dell’embargo.

Ci raccontano che gli Stati Uniti hanno prestato ad Haiti 600 milioni di dollari per la ricostruzione post-terremoto, ma nessuno ci informa che Cuba ha inviato quasi 1000 medici in territori dove non è arrivato nessun altro soccorso.

Molte sono le cronache cubane che troviamo sui giornali, ma ce n’è una invece che facciamo fatica a rintracciare. Nel corso degli ultimi 50 anni, Cuba è stata vittima di atti terroristici che hanno causato oltre duemila morti e un numero imprecisato di mutilati. Gli autori, rei confessi, sono personaggi noti al Governo americano con base a Miami. Nel corso di una riunione all’Avana autorizzata da Clinton nel 1998, gli agenti dei servizi segreti cubani mostrarono all’FBI e al Dipartimento di Stato americano le prove raccolte sulle attività dei terroristi in territorio statunitense, ma invece di intervenire per porvi fine, l’FBI li arrestò. I cinque furono processati solo due anni dopo e condannati a gravi pene con procedimenti irregolari. Hanno agito per impedire il terrorismo e sono in carcere nel Paese che ha dichiarato guerra al terrorismo, un bel paradosso. Oggi, dopo quattordici anni, sono ancora detenuti e non possono incontrare le famiglie. Il Presidente premio Nobel per la pace, come i suoi predecessori, continua a considerare Cuba una minaccia alla sicurezza del suo Paese e a girare la schiena ai diciotto appelli dell’ONU a cancellare l’embargo.

Amnesty International redige e notifica a tutti i Governi del mondo l’elenco delle violazioni in materia di diritti umani. Non sono notizie riservate: basta andare sul sito per constatare che la lista relativa agli USA è quasi 100 volte più lunga di quella di Cuba, che è più breve – tra l’altro – anche di quella del Regno Unito.

Nessuno ci riporta le cronache relative allo scabroso tema delle esecuzioni capitali che negli ultimi venti anni hanno registrato 3 casi a Cuba e 1191, di cui 12 minorenni, negli Stati Uniti. Cinicamente potremmo commentare che anche la proporzione non regge…

Chi segue almeno un po’ le vicende di Cuba, avrà probabilmente letto che l’embargo è una leggenda degli anni ’60 non più attuale, oppure che è una scusa del regime per perseverare nella negazione dei diritti umani (ma allora perché mantenerlo?), ma non è detto che sappia che gli ultimi provvedimenti del Congresso americano, le leggi Torricelli e Helms-Burton, risalgono al 1992 e al 1995 e che, curiosamente, hanno inasprito le misure proprio nel momento in  cui Cuba soffriva per la caduta del blocco sovietico. La prima comprende un articolo che recita: “Il Governo degli Stati Uniti può prestare aiuto attraverso organizzazioni non governative in appoggio a persone e a organizzazioni che promuovano cambiamenti democratici non violenti a Cuba”.

L’appoggio a organizzazioni che promuovo cambiamenti in un Paese straniero è un crimine perseguito da tutti i Governi del mondo, ma basta definirli “democratici e non violenti” per assicurarsi la complicità di mezzo pianeta.

Wikileaks riporta documenti che rivelano l’ingerenza del Dipartimento di Stato americano nella vita sociale dell’isola attraverso le Damas de Blanco, la blogger Yoani Sanchez e le promesse di privilegi alle famiglie dei dissidenti morti per sciopero della fame, che in realtà erano detenuti comuni, malati terminali, convertiti alla dissidenza in “corso d’opera”…

Nessuno ci parla della legge “de Ajuste cubano” promulgata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1966 che respinge i clandestini provenienti da tutti i Caraibi considerandoli emigranti economici, ma accoglie a braccia aperte i cubani perché profughi politici, salvo poi accusare il Governo cubano di limitare la libertà di movimento dei suoi cittadini. Un fatto curioso se pensiamo che qui, invece, si accusano i Governi nordafricani per la mancanza di misure di limitazione dei flussi migratori.

Dovremmo chiederci più spesso quanto siano coerenti le nostre democrazie, le nostre lezioni di moralità e le agende di politica internazionale che dettiamo a tutto il mondo.

La disinformazione non passa solo attraverso gli articoli “politicamente corretti” dei nostri media e i pareri illuminati di politici e intellettuali che pretendono da Cuba una rettitudine che non pretendono da se stessi, che sposano una tale dissidenza senza nemmeno cercare di capire le ragioni storiche del sogno di indipendenza dei cubani e del continente latinoamericano. La disinformazione passa anche attraverso il martellamento di notizie “buttate lì”, come quella dei TG Rai di un paio di mesi fa: “Cuba attende con ansia l’ufficializzazione dell’indulto per 2900 detenuti, tra cui anche prigionieri politici. Un segnale di conforto per un popolo spesso costretto a delinquere per sopravvivere”.

C’è un errore: i cosiddetti prigionieri di coscienza (in realtà imputati di reato di collaborazione con Governi stranieri di cui abbiamo già detto) erano stati liberati nella primavera del 2010 grazie alla mediazione della Chiesa Cattolica. E c’è una compassione insinuante che, se riferita all’Italia dove non manca certo chi è costretto a delinquere per sopravvivere, sarebbe stata considerata un’istigazione, ma riferita a Cuba è pietà umana.

Nessuno mi toglie dalla testa che se negli ultimi 50 anni non avesse dovuto sopportare queste pressioni, oggi Cuba sarebbe un Paese meno arroccato e, forse, simile a noi più di quanto possiamo immaginare.

Tronfi delle nostre democrazie che diciamo di poter correggere quando vogliamo, non siamo in grado di capire che ciò che i Paesi sottosviluppati vedono guardandoci, non sono i nostri buoni propositi, ma l’effetto delle politiche dei nostri Governi che ci stanno lentamente trascinando verso una nuova restaurazione: dal trattamento dei detenuti alla lotta al terrorismo; dal controllo dell’immigrazione all’accesso all’istruzione; dal livello dello stato sociale alla protezione dell’ambiente; dalle garanzie di occupazione alla recrudescenza delle discriminazioni; dalla protezione delle categorie deboli e dell’infanzia alla libertà di stampa, sempre più ostaggio dei gruppi d’affari.

Cuba è un Paese coeso che spacca il mondo, che costringe a prendere posizione. Per il fatto di trovarsi in un contesto geopolitico relativamente difficile da occultare, per i suoi risultati sociali e per il suo livello culturale, Cuba sa come porsi e presentarsi intelligentemente al mondo. Ciò rende possibili modalità di confronto accese e vibranti, ma ancora contenute.

Penso alle situazioni sulle quali invece è difficile avere informazioni di prima mano non mediate dalle convenienze delle politiche internazionali, situazioni forse anche difficili da difendere, ma non riesco a trattenere un brivido freddo lungo la schiena…

I paladini dei diritti umani si facciano avanti, prego: c’è molto da fare.

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