Gli italiani non amano la guerra – di Loris Campetti

colomba della pace in europa

In momenti bui, quando i venti di guerra soffiano impietosi, le persone pacifiche hanno bisogno di stare insieme, di sentirsi vicine le une alle altre.

Gli italiani non amano la guerra, la retorica militarista fatica a penetrare nei cuori di chi guadagna salari da fame, pensioni di sussistenza, che non sogna missili ma una sanità pubblica efficiente e invece è costretto a liste d’attesa infinite per una tac e vorrebbe far studiare i propri figli senza pagare fior di quattrini per una scuola ritornata classista.

Gli ultimi sondaggi certificano che solo un terzo degli italiani pensa che si debba continuare ad armare l’Ucraina fino alla impensabile vittoria finale contro l’orso russo e meno di un terzo vorrebbe che gli scarsi soldi a disposizione dello stato vengano spesi per riempire gli arsenali invece che i granai, al contrario di quel che gridava il presidente Pertini.

Quanto c’era di questi sentimenti popolari in piazza del Popolo, il 15 marzo, alla manifestazione prepolitica promossa dal giornalista Michele Serra?

Molto, sotto le bandiere arcobaleno della Cgil, nelle parole dei leader di Alleanza Verdi Sinistra e dell’Anpi e in una parte della piazza.

Molto poco sul palco, nei trenta interventi di giornalisti e artisti e opinionisti in un evento rimasto mediatico nonostante i 30 o 40 mila cittadini e cittadine in carne e ossa scesi in piazza per il bisogno di stare insieme nel sogno di un’Europa unita per far da argine alle ondate di piena degli spiriti animali dei bellicismi nazionalistici, a cui però ora se ne aggiungono 27 europei e non tutti gridano allo scandalo. I tabù sono stati abbattuti.

C’è tanta Ucraina sul palco, niente Palestina perché forse, come arriva a dire Vecchioni (il padre, ma è intervenuta anche la figlia), c’è solo una cultura al mondo, quella europea.

Il palco ha cancellato con un colpo di spugna il genocidio di un intero popolo.
Testi scritti dalla direzione e dalla redazione di Repubblica, immagini fornite da La7 e una piazza di decine di migliaia di spettatori che applaudono guardando un talk show.

Tutti per l’Europa, ma quale Europa? In piazza c’è il lupo e c’è cappuccetto rosso, ma chi è il lupo?

Si sa che le pecore vivono nel terrore del lupo ma poi al mattatoio è sempre il pastore a portarle.

Per qualcuno, una minoranza della piccola e media borghesia dai capelli bianchi o brizzolati che affollava la piazza, c’è “Un’altra Europa possibile” che era lo striscione che a Genova apriva, un quarto di secolo fa, il grande appuntamento del social forum represso nel sangue, l’Europa sociale di quelli che lottavano e continuano a lottare contro la guerra convinti che si vis pacem para pacem.

Per molti altri, invece, ci vuole un’Europa capace di competere in eserciti e armamenti con il nemico – la Russia di Putin, adesso anche l’America di Trump che vuole toglierci il servizio d’ordine – più che un’Unione portatrice di diplomazia, mediazione e solidarietà tra i popoli.

Uno striscione recitava: “Riarmo sì, anche così”.

Così vuol dire non un esercito europeo, impossibile senza un’Europa politica, senza una Costituzione, bensì 27 eserciti nazionali sempre più potenti, oggi contro il nemico ma domani, magari come nel secolo scorso, l’un contro l’altro armati.

Un’Europa che dei fondamentali scritti a Ventotene nel 1941 in piena carneficina ha conservato ben poco. La moneta ma non l’accoglienza, non la pace ma la guerra, l’Europa dell’Erasmus è stata un unicum, non un inizio.

In piazza c’erano molti sindaci e non tutti di sinistra, c’erano volti noti e i loro fan.

C’erano due Pd: il Pd di Elly Schlein che cerca faticose mediazioni per tenere insieme un partito che non c’è e il Pd di chi rifiuta le mediazioni e mette in croce la sua segretaria, vota per il riarmo a Strasburgo e vorrebbe un altro segretario che possa piacere anche a Renzi, a Calenda, a Repubblica e a La7 e non dispiacere troppo a Forza Italia.

C’erano Fratoianni e Bonelli (AVS) e i leader di +Europa.

Non c‘era invece Giuseppe Conte, impegnato a preparare una manifestazione il 5 aprile contro la guerra.

In un’altra piazza, distante un chilometro e mezzo dalla prima, c’era un’altra Europa ancora, pacifista a oltranza, molto identitaria, promossa da Rifondazione, Potere al Popolo, Usb e Arci.

Una piazza più giovane, bandiere arcobaleno e palestinesi, messa in piedi troppo frettolosamente e di risulta rispetto a quella di Serra, Repubblica e La7.

Perché in piazza (e alle elezioni) bisogna esserci sempre e comunque, non importa se da soli, l’importante è far garrire al vento le proprie bandiere.

Per il piacere dei media assatanati, qualche cretino, tra migliaia di persone per bene, ha dato fuoco alla bandiera dell’Europa.

Di una terza piazza non possiamo testimoniare di persona: ci siamo risparmiati quella promossa da Marco Rizzo, l’amico del generale Vannacci, solo bandiere italiane e sovranismo.

Sul palco Scurati (quello dei “giovani guerrieri europei”), Formigli, Augias, Vecchioni (quello che “non ogni pace va bene”), Jovanotti, Segre, Brizio, Carofiglio tra gli altri.

Sotto il palco politici, sindaci, Landini, Bombardieri, Fumarola (quella che il Re-arm di Von der Leyen va bene).

Certo, in tanti in piazza pensano che sarebbe meglio un’Europa unita con un solo elmetto, ma i 27 elmetti “sono un buon punto di partenza”.

Il segretario della Uil Bombardieri, a chi gli chiede un’opinione sull’idea geniale di riconvertire la produzione di berline in fabbriche di carri armati, risponde accennando alla corazzata Kotiomkin del ragionier Fantozzi: “una cagata pazzesca”.

In tanti si sono sforzati di dire che le differenze sono un valore.
Non sigle, commenta Serra, ma persone diverse. Viene in mente il Moretti (in piazza anonimamente) di Palombella rossa: “uguali ma diversi”.

Anche la differenza tra chi vuole il riarmo delle nazioni europee e chi pensa che sia “una cagata pazzesca” è un valore? Eppure, tra una parte di piazza del Popolo e una parte di piazza Barberini esistono valori condivisi, tutto sta a volerli cercare, soprattutto tra chi ha disertato entrambe le piazze, quella mediatica e quella segnata dall’illusione dell’autosufficienza.

Il segretario della Cgil Landini fa una proposta per cercare una prima risposta alle domande di pace, lavoro e diritti che piazza del Popolo non ha dato: una grande assemblea il 29 marzo.

(Loris Campetti, articolo in uscita per il mensile svizzero Area)

Fonte: https://www.pressenza.com/it/

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