La reazione dell’Iran ai crimini di Israele si è manifestata con 200 missili. Decine hanno colpito obiettivi israeliani con Teheran che ha dato al mondo una dimostrazione pratica di come sia in grado di aggirare i sistemi di difesa israeliana e di come possa infliggere danni enormi alle infrastrutture civili e militari del regime di Tel Aviv. Si è trattata di una risposta moderata, mirata e in pieno rispetto della normativa di ritorsione nell’ambito del diritto internazionale. Con il regime di Israele che ha minacciato ritorsioni sul territorio iraniano e con il tentativo di invasione in corso in Libano, i rischi di una ulteriore escalation nella regione sono enormi.
Nella “guerra mondiale a pezzetti” che stiamo vivendo, ogni teatro è strettamente interconnesso e il riscaldarsi di uno determina l’acuirsi di tensioni e apertura di altri. Per questo sono molti gli interrogativi che si manifestano oggi, nei drammatici tempi che viviamo.
L’INTERVISTA
Ambasciatore dopo l’assassinio dello storico leader di Hezbollah Nasrallah, la possibile operazione di terra da parte di Israele in Libano e il lancio di razzi dell’Iran di martedì primo ottobre, come sono cambiati gli scenari nella regione?
È chiaro come il sole che l’escalation cui punta Israele attraverso massacri, aggressioni, omicidi mirati, bombardamenti da terra e dall’aria senza alcuna differenza tra militari e civili è un agire lontano anni luce dalla civiltà etica e giuridica del XXI secolo, che viola la Carta delle Nazioni Unite e i valori esistenziali di ogni essere umano. L’obiettivo di Israele è quello di provocare una reazione imprudente da parte dei suoi nemici, in particolare l’Iran, che costringa gli Stati Uniti a intervenire direttamente nel conflitto. Un ipotetico sviluppo che, secondo tale logica, consentirebbe allo Stato Ebraico di assestare un colpo esiziale ai nemici della regione e in parallelo, rendendo effervescente tutta la regione, procedere silenziosamente alla pulizia etnica dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania (sebbene, deve precisarsi, rimanga oscuro il loro destino). Ora, con il lancio di 200/400 iraniani di ieri 1° ottobre contro Israele, la strategia di quest’ultimo sembra sul punto di concretarsi, anche se, come avvenuto dopo il bombardamento israeliano dell’Ambasciata di Teheran a Damasco (1° aprile scorso), gli Stati Uniti, contrari a un’escalation, stiano premendo su Israele affinché la sua reazione rimanga contenuta. Washington è consapevole che un conflitto con l’Iran porterebbe alla chiusura dello stretto di Hormuz, al blocco del transito di petrolio che viaggia per nave (25/30% complessivo), pesanti riflessi su inflazione e borse, danni estesi all’economia Usa (e occidentale), per di più a poche settimane dalle elezioni presidenziali. Ciononostante, gli Stati Uniti – la cui politica mediorientale è sequestrata dagli interessi israeliani che, tramite le potentissime lobby pro-Israele, sorvegliano carriere politiche, finanza di Wall Street e informazione pubblica – verrebbero comunque trascinati in guerra a fianco di Israele contro i loro stessi interessi nazionali, sebbene in linea con quelli delle loro élite, corporazioni, produttori di armi, stato profondo e via dicendo.
Lo scenario di una guerra totale tra Iran e Israele è ora possibile?
Seguendo una hybris patologica ed espansionistica che si pensava relegata al passato remoto, lo stato israeliano si pone oggi ai margini della comunità internazionale. Avendo scartato ontologicamente la soluzione dei due stati (la sola che potrebbe pacificare la regione), in un’ottica imperialista fuori tempo storico, la strategia devastatrice contro il popolo palestinese (pulizia etnica e furto di terre), contro Hezbollah e il Libano, a cui cerca fors’anche di sottrarre territorio come alla Siria (di cui Israele occupa dal 1967 le alture del Golan) è destinata all’insuccesso. Nemmeno il recente assassinio del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah (insieme a centinaia di civili innocenti) potrà cambiare l’equazione. Nasrallah è stato già sostituito e la sua scomparsa renderà semmai ancor più determinata la resistenza del Partito di Dio contro lo stato ebraico. Tutto ciò è reso possibile, ça va sans dire, dalla perenne complicità degli Stati Uniti, i quali garantiscono a Israele un sostegno incondizionato, incuranti della polverizzazione totale di ogni residua credibilità etica e politica, davanti ai popoli del mondo e alla storia. Sulla complicità europea non è il caso di soffermarsi oltre, se non per ragioni di etica filosofica, data la totale irrilevanza nella quale giace da decenni la cosiddetta Unione, guidata da un’impalpabile classe dirigente, priva di sovranità, dignità e consistenza politica, distesa nella posizione del missionario davanti all’alleato-padrone e immersa nel senso di colpa olocaustico scontabile solo nell’eternità. In tale complesso scenario l’Iran, tuttavia, non si fa cogliere di sorpresa, diversamente da quanto ci somministra la quotidiana menzogna mediatica. Pur privi della proverbiale sfera di cristallo, riteniamo che Teheran stia calibrando le proprie mosse sul piano strategico, tenendo realisticamente conto che quale potenza militare Israele è nettamente superiore (2200 carri armati, migliaia di veicoli armati, 142 elicotteri (di cui 43 Apache d’attacco), 30 aerei da caccia F35, 83 F15 e 196 F16, circa 50 navi da guerra e 5 sottomarini con testate nucleari, tutto ciò condito da una tecnologia avanzatissima, frutto di ben 236 mld di dollari complessivi ricevuti a dono da Washington dal 1945 a oggi[1]). In un confronto militare diretto, l’Iran vedrebbe devastato il suo territorio, insieme a città e infrastrutture, senza mettere in conto una possibile destabilizzazione politico/sociale al suo interno. Un destino che, comprensibilmente, Teheran intende evitare.
Come sintetizzerebbe la strategia iraniana?
La strategia iraniana, dunque, sembra aver scelto la pazienza e il tempo lungo della storia. Israele è oggi un paese in seria difficoltà, diviso e in profonda crisi, un’economia in sofferenza (due declassamenti in poche settimane da parte di Moody’s), 5-600.000 israeliani usciti dal apese (molti non torneranno più) e altri lo faranno alla luce degli sviluppi. La reputazione internazionale è ai minimi termini. Fuori dall’Occidente, il resto del mondo lo considera universalmente uno stato terrorista, senza bisogno di attendere la conferma della Corte Penale e della Corte di Giustizia Internazionale, avendo violato sistematicamente il diritto internazionale, la Carta delle Nazioni Unite, ogni principio etico di convivenza tra i popoli, il diritto umanitario e via di seguito, anche se per ora riesce a farla franca, per le ragioni illustrate. Nel giudizio di Teheran, tutto ciò produrrà i suoi effetti nel tempo. Se poi i paesi arabi e mussulmani, insieme ad altri del Sud Globale, trovassero la formula per unirsi, recidendo i rapporti economici, commerciali, finanziari, culturali etc. con Israele, questo infliggerebbe danni profondi e forse irreparabili alla sua stessa intelaiatura esistenziale. In definitiva, la postura iraniana sino a ieri immobilista davanti alle continue aggressioni/provocazioni israeliane (tra cui il bombardamento dell’Ambasciata a Damasco del 1° aprile scorso è solo il più inaudito, passato pressoché sotto silenzio da Usa ed Europa!) è la tessera di una strategia complessa. Da cittadini privi di capacità d’influenza, non possiamo che attendere gli eventi, manifestando profonda contrarietà alla postura anti-etica e contraria agli interessi del popolo da parte del nostro governo.
Quali sono le “linee rosse” che Teheran considererà invalicabili?
Alla luce di quanto esposto, è di tutta evidenza che Teheran si attiene a una postura attenta basata sui rapporti di forza e la tutela degli interessi strategici della dirigenza e del suo popolo, misurando azioni e reazioni a sangue freddo, sotto il prisma di riflessioni bilanciate. Sino a ieri, l’Iran non aveva accettato di cadere nella trappola tesa da Israele attraverso quotidiane provocazioni, omicidi di capi militari, scienziati del programma nucleare-civile, l’uccisione di Haniyeh il giorno dell’insediamento del Presidente Masoud Pezeshkian e altro. Tuttavia, era necessario, nel giudizio della Guida Suprema Khamenei e dei Guardiani della Rivoluzione, ristabilire una linea credibile di deterrenza, in assenza della quale, le aggressioni israeliane, come avviene da anni, sarebbero continuate senza fine, mettendo a repentaglio non solo la credibilità difensiva del paese, seppure da posizioni di debolezza rispetto alla forza militare israeliana-Usa, ma finanche la capacità interna di gestire il paese. Ora, se la risposta israeliana ai missili di ieri dovesse superare una linea rossa (a noi sconosciuta) – ma Israele fa solitamente quel che vuole, sicuro che Washington finisce sempre per piegarsi a qualsiasi nefandezza o azzardo – è verosimile che a un certo punto della corsa si arrivi a uno scontro diretto tra iraniani/russi da una parte e israeliani/americani. Teheran dispone già di batterie antiaerei e antimissile (S-400, S-300V4, BuK-M2 a medio raggio e Pantsir-S a corto raggio, insieme a altri strumenti di guerra elettronica), che per operare al meglio necessitano di personale russo, o addestrato dai russi. In tale scenario un passo fuori misura è dietro l’angolo, e potrebbe scatenare l’inferno. Ma nessuno in Europa (in Italia ancor meno!) tra i decisori politici sembra capace di trarne le conseguenze, tentando di fermare la locomotiva impazzita di Israele, o almeno esprimere preoccupazione e dissenso. Che si tratti di viltà, inconsistenza o vergognosa inedia, ciascuno faccia la sua scelta. In ultima analisi, se non sappiamo qual è la line rossa iraniana, sappiamo però che essa è sofisticata. Il ristabilimento di posizioni bilanciate, sorge spontanea la metafora, è un piatto che, come la vendetta, si serve freddo.
Qualora il piano di Israele, di intrappolare gli Stati Uniti in un conflitto con l’Iran, dovesse riuscire. Come pensa reagirebbero Cina e Russia?
La Russia ha un ruolo cruciale. Pochi giorni orsono è trapelata la notizia che i citati dispositivi russi antimissile avrebbe abbattuto 13 missili israeliani che si stavano avvicinando alla base russa di Khmeimim e al porto di Tarkus, in Siria. È la prima volta che questo succede. Si tratta di un segnale che gli israeliani prenderanno seriamente in considerazione, perché se tali sistemi di difesa entrassero in uso sui diversi fronti ostili, la deterrenza aerea israeliana subirebbe un colpo significativo. Un contatto diretto tra russi e israeliani significa poi, in buona sostanza, un contatto diretto tra russi e americani, i cui rischi di escalation si aggiungerebbero a quelli provenienti dal fronte ucraino.
Quanto alla Cina, nella regione mediorientale essa non possiede dispositivi militari, diversamente dagli Usa, presenti con numerose basi aeree, navali e di terra. In ogni caso, Pechino non intende farsi coinvolgere sul campo, preferendo far ricorso alla persuasione politica e diplomatica, oltre che alle relazioni economiche. Non è un caso che i cinesi abbiano propiziato la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Riyad e Teheran, il reingresso della Siria nella Lega Araba (insieme alla Russia), un graduale avvicinamento di posizioni nello Yemen, oltre a un componimento strategico tra tutte le organizzazioni palestinesi in vista della creazione di uno stato palestinese. Qualcuno, oltreoceano, rileva che la Cina sia beneficiaria di ritorni strategici per la distrazione americana su teatri di guerra lontani dall’Estremo Oriente, in Ucraina e Medioriente. Diversi esponenti della Scuola Realista, considerano che la scelta di considerare la Russia un paese ostile sia stata un grave errore da parte degli Stati Uniti, poiché Mosca dovrebbe essere reclutata sul fronte occidentale in funzione anticinese, non viceversa, come sta accadendo. Si tratta di una riflessione che non rassicura chi come noi crede che in un mondo interconnesso la Pace debba essere universale e onnicomprensiva, a maggior ragione quando si ha a che fare con una Grande Potenza come la Cina. Se dunque il prossimo presidente Usa (D. Trump?) dovesse resettare le priorità strategiche americane, spostando il centro del conflitto imperiale contro il mondo dall’Europa all’Asia Orientale, essendo la Cina considerata lo sfidante strategico dell’unipolarismo patologico Usa, allora i rischi di guerra non si ridurranno di certo. In realtà, gli uomini dotati di senno dovrebbero combattere contro il virus della cupidigia di potere e ricchezze delle oligarchie globaliste, per lasciar spazio alla nozione di connivenza pacifica, nell’armonia delle diversità, convincendo anche Israele a tornare alla normalità, dismettendo la sua condotta disumana e distruttiva che rischia di offuscare la memoria delle immense sofferenze patite dal popolo ebraico per mano dei nazisti tedeschi nel corso della Seconda guerra mondiale.
Cosa si aspetta dal Vertice di Kazan dei Brics in termini di riequilibrio di potenza a livello internazionale?
Qual poco che è trapelato dovrà beninteso trovare conferma concreta. Azzardando tuttavia qualche ipotesi, si può rilevare che il vertice Brics-plus (oggi composto da dieci nazioni), in programma a Kazan il 22-24 ottobre prossimi, sarà verosimilmente un turning-point che marcherà in forma tangibile la volontà del Sud Globale di affermare l’indipendenza e la sovranità, prendendo distanza dalle guerre e dalle posture minacciose dell’Occidente a guida americana. Tale strategia avrà bisogno di una messa a punto, ma è palese che essa non intende alzare barricate con l’Occidente, con cui molti paesi intrattengono proficui flussi commerciali e d’investimento, cruciali per la crescita e lo sviluppo delle rispettive economie. Oltre alla Cina, l’India, il Brasile, l’Arabia Saudita e via dicendo, tutti intrattengono un dialogo economico che intendono salvaguardare e ampliare. I Brics-plus – un raggruppamento come noto di stampo informale tra nazioni del Sud del mondo, non un’alleanza politica formale – sono accumunati dall’intento di riconquistare sovranità e indipendenza d’azione. Ma il mondo esterno all’Occidente (The Rest rispetto a The West) è rappresentato da nazioni abitate da 6,7 mld di persone, che oltre ai Brics si vanno aggregando su numerose dimensioni associative, la Shanghai Cooperation Organization, , l’Unione Eurasiatica, la Lega Araba, l’Unione Africana, il Mercosur, svariate unioni continentali e via dicendo, che tutti insieme costituiscono quel firmamento di soggetti che stanno ridisegnando il potere nel mondo sulla tela del multipolarismo, e che a Kazan proveranno a dare un colpo di frusta a tale percorso. Una prospettiva questa che vede ferocemente contraria l’anglosfera guidata dagli Stati Uniti, che intende continuare ad estrare ricchezza e lavoro dai paesi poveri e indifesi – oltre che da quelli europei ormai definitivamente vassallizzati – attraverso l’uso della forza, quando possibile, o la finanza, la corruzione, le minacce economiche e le inique ragioni di scambio, sempre a vantaggio dei paesi ricchi. È sotto i nostri occhi, per evocare un solo esempio, l’attuale condizione semicoloniale dell’Iraq, paese invaso e occupato illegittimamente dagli Stati Uniti ventun’anni orsono: il Parlamento e il governo di Baghdad hanno più volte ingiunto alle truppe americane di lasciare il paese, ma gli americani se ne infischiano, non hanno intenzione di partire e continuano a depredare quel paese del petrolio, tra le poche risorse di cui dispongono, che le truppe d’occupazione considerano evidentemente un risarcimento per i costi dell’invasione (650.000 vittime, milioni feriti e di rifugiati, devastazioni, nascita dell’Isis e via dicendo!). Anche qui la realtà supera la fantascienza. A Kazan, inoltre, i Brics-plus tenteranno di dar corpo all’esaltante prospettiva di un’accelerata de-dollarizzazione, definendo pratiche e meccanismi per rendere viabile il ricorso alle rispettive monete nazionali nel commercio reciproco. In parallelo, dovrebbe definirsi un meccanismo di scambi bancari e tutela dei depositi in valuta, alla luce dei sequestri illegittimi operati da Usa e UE ai danni della Russia in ragione della guerra in Ucraina. La creazione di una moneta comune sarà invece messa da parte, e ciò sarà un bene, non solo per le serie difficoltà intrinseche in un progetto del genere, ma anche perché l’esempio disastroso dell’euro non è certo sfuggito a quei paesi. Saranno invece approfondite le opzioni alternative al dollaro come moneta di riserva. L’attesa è dunque apprezzabile su molti fronti, sebbene la strada sia in salita, perché gli Stati Uniti metteranno in opera non solo il dicibile, ma anche l’indicibile, incluse minacce, sanzioni, guerre e corruzione ad ogni livello, per sabotare un percorso che costituirebbe l’inizio della fine dei privilegi imperiali. Senza un dollaro internazionale, sarà arduo per la potenza bellicista egemone mantenere i propri ingiustificati vantaggi, tra cui il finanziamento delle 800 basi militari in 80 paesi al mondo e quell’apparato di intelligence che genera rivolte, colpi di Stato, turbolenze, divisione tra nemici e amici nei quattro angoli del pianeta. Il vertice Brics-plus di Kazan costituisce dunque un passaggio cruciale su questo percorso e una grande speranza per gli uomini che vogliono pace, giustizia ed equità per tutti i popoli del globo.
di Alessandro Bianchi
Fonte: https://www.lantidiplomatico.it/
[1] https://www.aljazeera.com/news/2023/10/11/how-big-is-israels-military-and-how-much-funding-does-it-get-from-the-us