
Tutti in piazza per l’Europa? Ma quale Europa? Quella che si sta riconvertendo a un’economia di guerra (con tanti saluti al welfare e alla transizione ecologica) per sostituirsi al sostegno che Nato e Stati Uniti non vogliono più dare all’Ucraina e per accrescere così l’inimicizia verso la Russia? E intanto deve guardarsi le spalle da Trump che, oltre ai dazi in arrivo, la lascia con in mano la miccia accesa del sostegno militare ed economico a una guerra che gli Stati Uniti hanno provocato, la Russia ha scatenato, l’Ucraina ha combattuto per procura e l’Unione Europea ha armato e finanziato, dissanguandosi con sanzioni che hanno danneggiato solo lei e hanno fatto bene solo agli Stati Uniti.
Sì, rispondono in molti, l’Europa vuole armarsi, ma vuole anche costituire al fronte una forza di interposizione per promuovere la pace. Ma quando mai l’interposizione viene affidata a Paesi che hanno fornito armi, finanza e promesse di appoggio fino alla vittoria finale a una delle parti combattenti? Non è ridicolo (se non fosse tragico) tutto ciò?
Sì, aggiungono, ma verrà fatto tutto – armi, interposizione e ricostruzione del Paese – a spese dei fondi russi congelati nelle banche europee. Forse che la Russia, prima di firmare una pace, non chiederà la restituzione dei fondi che le sono stati sequestrati? Motivo sufficiente per non arrivare alla pace mai, o per arrivarci a spese dell’Unione Europea, mentre gli Stati Uniti si saranno abbondantemente rifatti delle spese sostenute con le terre rare rapinate all’Ucraina.
Così adesso l’Unione Europea e i suoi dispersi Stati membri si trovano tra due fuochi: devono continuare il “lavoro” lasciato a metà dagli Stati Uniti che se ne stanno sfilando, facendosi trascinare da Zelensky a inseguire un’impossibile vittoria (ribattezzata “pace giusta” e duratura), ma devono anche supplicare gli Stati Uniti di non lasciarli soli, perché questa loro posizione, se portata avanti, li trascina inesorabilmente verso una guerra totale, anche atomica, proprio mentre Trump si accinge a pugnalarli alle spalle con i dazi.
Ma come è stato possibile infilarsi in un buco nero di queste dimensioni? E’ successo perché l’Europa non ha un suo esercito, rispondono ora gli “esperti”; gli stessi che l’hanno spinta a gran voce ad abbracciare la causa della guerra, senza promuovere né lasciare aperto alcuno spiraglio a una possibile mediazione. E’ vissuta, dicono – e i suoi stupidi cittadini sono vissuti – nell’illusione di una pace sicura e perpetua in un mondo che da tempo si stava riconvertendo alla guerra.
Non è vero. Di eserciti l’Europa ne ha anche troppi e di certo i cittadini dei suoi Stati membri non sentono il bisogno di nuove e più potenti armi. Quello che le manca è una politica per farne a meno, per non doverle usare, per ricavarsi uno spazio tra coloro che detestano la guerra: sicuramente la stragrande maggioranza degli abitanti della Terra, compresa la maggioranza di quelli che in Russia come in Ucraina (e magari tra un po’ anche da noi) vengono mandati al fronte come forzati, dopo averli catturati per strada mentre cercano di nascondersi o di fuggire. E compresi quelli che in tutti i Paesi dell’Unione Europea non sono mai stati consultati in proposito.
I governi dell’Unione Europea ora si illudono di creare, con un esercito comune, quell’unione politica che non sono riusciti a creare né con un mercato né con una moneta comuni. Ma è un’illusione stupida e pericolosa, che nasce dalla rinuncia o dall’incapacità di mettere al centro di uno sforzo comune l’unica guerra che valga la pena combattere: quella contro l’imminente catastrofe climatica e ambientale, che in realtà è una guerra che tutte le nazioni che “contano” sulla scena internazionale dovrebbero combattere. Innanzitutto contro se stesse, contro i propri sprechi, i consumi superflui, le produzioni dannose, l’incuria, l’abbandono di tanti esseri viventi, umani e no. Una guerra da combattere contro i responsabili di questa deriva drammatica: i signori del petrolio, del gas, del carbone e del nucleare, quelli della finanza, delle armi e della guerra, quelli del marketing e dell’informazione (sono la stessa cosa) che illudono e falsificano la realtà.
Il mondo monocentrico, ci dicono, si sta dividendo in zone di influenza e l’Europa – vaso di coccio tra vasi di ferro – rischia di venir schiacciata tra due o tre grandi potenze, senza avere più alcuna influenza. Non sarà un esercito superarmato ma raccogliticcio a restituirgliela.
Ma non è detto che il distacco di una parte crescente del mondo dal controllo dell’Occidente – spacciato dai nostri media, e solo da loro, per “comunità internazionale” – debba per forza portare a una o due riaggregazioni intorno al polo costituito da Cina e Russia, o a due poli: Cina e Russia. Oggi questi poli rappresentano, per molti governi o Paesi del mondo, un interesse potenziale o già attuale alternativo alla soggezione all’Occidente. Ma un progetto planetario di conversione ecologica vera, e non di facciata – che non è l’automobile elettrica, ma significa pace, cooperazione, salvaguardia dell’ambiente, diritto alla vita, alla salute, al reddito, alla casa, alla dignità di ciascuno – potrebbe ricostituire non solo la perduta identità e l’unità di intenti dell’Europa, che ora non ne ha alcuna, ma anche un fattore di aggregazione internazionale intorno a programmi e impegni di rigenerazione della società e dell’ambiente che si faranno sempre più urgenti mano a mano che la crisi ambientale farà sentire a tutti, e in modo sempre più acuto, i suoi effetti. Programmi in cui anche i migranti a cui oggi l’Europa e tutti gli Stati membri danno la caccia, una volta liberi di circolare tra i nostri Paesi e il loro, potrebbero trovare posto in progetti di risanamento dei loro Paesi di origine e anche dei nostri.

** Guido Viale è nato a Tokyo nel 1943 e vive a Milano. Ha partecipato al movimento degli studenti del ‘68 a Torino e militato nel gruppo Lotta Continua fino al 1976. Si è laureato in filosofia all’università di Torino. Ha lavorato come insegnante, precettore, traduttore, giornalista, ricercatore e consulente. Ha svolto studi e ricerche economiche con diverse società e lavorato a progetti di cooperazione in Asia, Africa, Medioriente e America Latina. Ha fatto parte del comitato tecnico scientifico dell’ANPA (oggi ISPRA). Tra le sue pubblicazioni: Un mondo usa e getta, Tutti in taxi, A casa, Governare i rifiuti, Vita e morte dell’automobile, Virtù che cambiano il mondo. Con le edizioni NdA Press di Rimini ha pubblicato: Prove di un mondo diverso, La conversione ecologica, Si può fare e Rifondare l’Europa insieme a profughi e migranti. Con Interno4 edizioni ha pubblicato nel 2017, Slessico Familiare, parole usurate prospettive aperte, un repertorio per i tempi a venire. Sempre con Interno4 Edizioni nel 2018 ha pubblicato l’edizione definitiva e aggiornata del suo importante libro sul ‘68.
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