“La prima volta che ho messo piede a Gaza è stato nel 2012. Avevo ancora nella mente i drammatici e preziosi reportage inviati da Vittorio Arrigoni durante il massacro israeliano denominato piombo fuso di tre anni prima e mi aspettavo solo disperazione; invece, trovai tanta povertà ma altrettanta forza vitale.” A raccontarsi e raccontarci della Palestina martoriata, ma mai doma, a “Egemonia” è Patrizia Cecconi, una colonna de l’AntiDiplomatico e una delle massime conoscitrici di quella terra oggetto dello sterminio sionista di questi giorni. Con lei abbiamo cercato di comprendere l’operazione del 7 ottobre di Hamas (in concomitanza con l’uscita di un importante documento dell’organizzazione islamica) partendo dal principio, sfatando molti luoghi comuni e falsità che purtroppo avvelenano il dibattito.
Ragionare con determinati canoni è sbagliato e non si può commettere l’errore di valutare con i paraocchi realtà complesse. Come l’AntiDiplomatico abbiamo criticato negli anni Hamas per le sue posizioni nella distruzione pianificata della Siria e perché il modello di sviluppo laico e socialista resta il nostro modello di riferimento. Ma questa è un’altra storia e Patrizia Cecconi è molto ferma nel rimandare al mittente la prima pericolosa “scheggia” di (piccola) verità che avvelena il dibattito. “Hamas come ‘creatura di Israele’ è un’affermazione diffusa da anni, ben prima del 7 ottobre e ora per così dire rinvigorita. È ripetuta dai palestinesi che si riconoscono nell’Anp ed è stata fatta propria per superficialità di conoscenza o per malafede anche dal nostro cosiddetto centro-sinistra, generalmente filoisraeliano, e da alcune frange della sinistra filopalestinese. In questi ultimi tre mesi si sente e si legge anche che Hamas e Netanyahu avevano concordato l’operazione del 7 ottobre per consentire a quest’ultimo di restare al potere nonostante il dissenso interno.” La fantasia “galoppa” per Patrizia Cecconi e non sempre viene “cavalcata in buona fede”, soprattutto, ci rimarca più volte, quando certe affermazioni vengono presentate come ”analisi”. “In realtà sono semplici ipotesi che a volte poggiano su una scheggia di verità, solo una scheggia, ma dalla quale germogliano ipotesi più o meno elaborate offerte come ricostruzioni attendibili e inconfutabili.”
Quale è la scheggia di verità? Come è nato Hamas? Perché oggi rappresenta il bastione della resistenza palestinese e che tipi di rapporti esistono con le altre organizzazioni palestinesi? Domande complesse che richiedono una conoscenza e un’esperienza che in pochi in Italia possono permettersi. Cecconi ci aiuta a rispondere partendo dal principio, letteralmente. La trattazione che segue è lunga ma ha il pregio di fornirvi tutti gli elementi storici e politici necessari per inquadrare finalmente correttamente l’argomento. Perché per parlare del 7 ottobre va conosciuto il prima. “Hamas nella sua forma politica emerge nel 1987, praticamente in contemporanea con la prima intifada, partita dal campo profughi di Jabaliya in seguito all’ennesima uccisione di cinque palestinesi e poi estesasi dalla Striscia a tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme.” Ma Hamas, prosegue Cecconi, non nasce come movimento politico bensì come associazione religiosa caritatevole, secondo i dettami del Corano, nel 1973. Nasce come filiazione dei “Fratelli musulmani”, movimento religioso fondato in Egitto alla fine degli anni “20 del secolo scorso e, contrariamente alla vulgata occidentale, questo movimento solo in alcune fasi ha praticato la violenza politica, mentre sostanzialmente il suo obiettivo era la diffusione di un’educazione, sicuramente conservatrice, ma basata sui principi coranici di solidarietà e altruismo. “Nella Palestina sotto il violento tallone dell’occupazione israeliana questa propaggine della Fratellanza musulmana, dopo una quindicina d’anni dedicati ad attività tese solo a creare una società di buoni musulmani, “ripulita dalla corruzione” della cultura occidentale e migliorata sul piano della salute, della lotta alla povertà, dell’istruzione e del lavoro, deciderà di fronteggiare attivamente l’occupante. Abbandonerà la pratica nonviolenta e si porrà come “braccio combattente” della Fratellanza in Palestina. Non sarà più l’entità caritatevole che era stata lasciata crescere liberamente e che nel 1979 era stata addirittura riconosciuta ufficialmente da Israele come ente di beneficenza (al mujama el islami) fondato dallo sceicco Yassin, tanto da ottenere anche l’autorizzazione a costruire l’università islamica a Gaza city che, detto per inciso, ora è stata completamente distrutta dai bombardamenti israeliani.”
Non nega, Cecconi, che Israele ha lasciato crescere Hamas, finché nel 1987 ha capito che l’entità islamica di beneficenza si stava facendo pericolosa. “Ma quando Hamas si afferma come movimento di resistenza, il vero nemico di Israele non è ancora Hamas bensì l’OLP, Organizzazione per la liberazione della Palestina, nella quale confluivano Fatah e altre formazioni laiche molto attive, anche con azioni armate, nella lotta contro l’occupazione.” Quale migliore occasione per dividere il fronte resistenziale se non lasciar ancora crescere un movimento di ispirazione fortemente religiosa e quindi in contrasto con i movimenti politici di ispirazione laica? “Il divide et impera ha sempre funzionato e Israele lo sapeva e lo sa; quindi, ha lasciato che Hamas crescesse ancora, che gli arrivassero finanziamenti dai paesi arabi amici, che si radicasse tra la gente fornendo assistenza sociale, perché la sua crescita serviva a incrinare il fronte guidato da Arafat, a dividerlo e indebolirlo. Non importava che nello statuto di Hamas del 1988 (poi modificato ma di questo i mass media non parlano) fosse prevista la distruzione di Israele, di quello si sarebbe trattato in seguito e magari sarebbe tornato utile dal punto di vista comunicativo come, del resto, possiamo vedere oggi.”
In quel momento la priorità per Israele era fiaccare l’Olp, prosegue Cecconi nella sua analisi. 6 anni dopo la prima Intifada, con la ratifica degli accordi di Oslo, il 13 settembre del 1993, Israele, tra una violazione e l’altra del diritto internazionale, continua a perseguire i suoi piani, come dimostrano in modo inconfutabile i fatti sul terreno a partire dagli insediamenti illegali cresciuti a dismisura, così come gli arresti arbitrari, i numerosi omicidi e i soprusi di ogni tipo, compresi quelli di natura burocratica che rendevano e rendono un incubo la vita quotidiana dei palestinesi. Nel contempo Hamas, sottolinea Cecconi, applicando da buon movimento musulmano quei dettami del Corano che nel cristianesimo rispondono alle due virtù teologali della fede e della carità, continua a costruire asili, centri medici, scuole e strutture di beneficenza, a offrire borse di studio all’estero per gli studenti meritevoli e così via, radicandosi sempre più nella società, sia nella Striscia di Gaza che in diverse aree della Cisgiordania. “Nel 2000, in seguito alla provocazione del primo ministro Sharon sulla spianata delle moschee, scoppia la seconda intifada. Hamas stavolta sarà molto attivo nelle azioni armate e questa seconda intifada non vedrà solo vittime palestinesi, non ci saranno solo centinaia di ragazzini uccisi o con le braccia spezzate per aver lanciato sassi contro l’esercito occupante, ma l’intifada entrerà in Israele con gli attentati suicidi e Hamas sarà attore primario, seguito dal braccio armato di altre forze della resistenza comprese le brigate al Aqsa, braccio armato di Fatah.” I morti palestinesi saranno oltre cinquemila ma ci saranno anche più di mille vittime israeliane di cui solo un terzo saranno militari.
In Israele arriva il terrore vero. I civili israeliani, sottolinea Cecconi, vivranno nel panico per anni, “ma non capiranno, ad eccezione di poche associazioni pacifiste, che la loro sicurezza non poteva e non può passare per la continua violazione del Diritto umanitario universale da parte dei loro governi, negando ogni diritto ai palestinesi, né tantomeno può passare per la continua costruzione illegale di colonie, né può rinforzarsi con divieti e soprusi o con gli omicidi – cosiddetti mirati – di militanti e leader della resistenza sia in Palestina che all’estero, seguitando a violare ogni norma del Diritto internazionale e mantenendo l’illegale occupazione dei Territori palestinesi, occupazione propedeutica al tentativo di annessione degli stessi spudoratamente dichiarato.”
Il momento chiave è il 2004 (quarto anno della seconda intifada): invece di rispettare le risoluzioni dell’Onu e riconoscere i diritti dei palestinesi, Sharon decide di uccidere i fondatori di Hamas. L’assassinio della guida spirituale, lo sceicco Yassin, paraplegico e cieco – omicidio condannato da tutto il mondo, esclusi gli Usa di Bush. “Sentimenti di condanna e di forte sdegno verranno espressi anche dall’associazione “Ebrei europei per una giusta pace” che in un documento pubblico accuseranno governo ed esercito israeliani di aver commesso un reato non solo riprovevole in sé ma di essere pienamente consapevoli delle conseguenze sanguinose che avrà per entrambi i popoli in “un’infinita ed insopportabile spirale di violenza”. Ma alle parole di condanna non seguono i fatti e l’impunità per questo come per qualunque altro reato rende Israele sempre più criminale. Infatti ad aprile verrà assassinato il successore dello sceicco Yassin, il medico pediatra Abd Aziz al Rantissi, lo stesso che nel gennaio del 2004 aveva proposto una tregua di 10 anni in cambio del ritiro di Israele dai territori occupati nel 1967 e il riconoscimento dello Stato di Palestina su quei territori, riconoscendo, di fatto, lo Stato di Israele. La risposta del governo Sharon sarà un missile mortale con tanto di “ordinari effetti collaterali”, tanto il sangue palestinese, come ricorda Gideon Levy, è una merce a costo zero.”
Israele, dunque, ha utilizzato Hamas contro l’Olp ma poi ha cercato di disfarsene. Ma il nemico giurato del governo israeliano di quegli anni era ancora Arafat. “Arafat viveva sotto assedio a Ramallah dal 2002, rinchiuso alla muqata con le ruspe inviate da Sharon a strappare pezzi di muro per costringerlo a cedere, umiliandolo con l’offerta di un biglietto di sola andata per “un buon posto” all’estero. Arafat aveva risposto che “quello palestinese è un popolo di giganti” e che non avrebbe ceduto, ma piuttosto sarebbe morto da martire.”
In tutta la Palestina, da Gaza a Ramallah a Jenin, a Gerusalemme in quelle settimane si manifesta per Arafat contro Israele. L’IDF spara e uccide, anche i bambini, per intimidire i manifestanti ma le proteste non si fermano e gli fanno eco imponenti manifestazioni anche dall’estero. Stavolta gli Usa tengono conto delle conseguenze possibili e fermano Sharon, il quale comunque dichiara pubblicamente che Arafat è un uomo morto. A Israele è concesso anche di minacciare impunemente, ci penseranno i mass media asserviti a far passare tutto in modo anodino giocando con i termini usati. “Ce lo stanno dimostrando ampiamente anche in questi ultimi tre mesi le inviate televisive chiamando, tanto per fare un altro esempio, “promesse” le minacce criminali di Israele e “minacce” le rimostranze dei paesi nei quali Israele ha commesso sanguinosi crimini.”
Sarà nel 2004, anno chiave, dopo aver eliminato le due figure più significative di Hamas, che Sharon potrà chiudere i conti anche con Arafat.
Probabilmente avvelenato, il presidente dell’OLP verrà lasciato uscire dalla muqata per volare in Francia dove però neanche i migliori specialisti riusciranno a identificare e curare la grave patologia che lo ucciderà nel novembre di quel terribile 2004. “A lui succederà quello che secondo alcuni era uomo gradito a USA e Israele e che lo stesso Arafat aveva definito il Karzai della Palestina. Il governo israeliano, direttamente o indirettamente, si era disfatto sia dei vertici di Hamas, sia del capo dell’OLP, lo stesso che nella trappola degli accordi di Oslo aveva riconosciuto lo Stato di Israele.”
In Hamas la nuova dirigenza nel gennaio del 2005 dichiara unilateralmente la tregua e blocca la seconda intifada. Israele invece non cesserà di commettere omicidi, né ogni tipo di sopruso, ignorando centinaia di risoluzioni ONU e restando regolarmente impunito. Ma Hamas che, ricordiamolo, non nasce come un’entità terrorista ma come movimento nazionalista religioso, decide di prendere la via della politica e infatti nel gennaio successivo si presenterà alle elezioni legislative conquistando inaspettatamente la maggioranza. Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas, verrà nominato primo ministro nell’Anp, ma le dispute per il potere tra le due forze rivali (Fatah e Hamas) porteranno a violenti scontri, anche armati, rischiando di trasformarsi in una vera e propria guerra civile. La conclusione, nel giugno del 2007, sarà la separazione tra la Striscia di Gaza, dove prenderà il potere Hamas, e la Cisgiordania che resterà governata dall’Anp di Abu Mazen. “Lo stesso Abu Mazen nel giugno di quell’anno dichiarerà fuori legge Hamas, e una serie di paesi tra cui spiccano gli Usa, il Canada e la maggior parte dei Paesi europei dichiareranno Hamas – e non solo il suo braccio armato costituitosi nel 1992 – movimento terrorista. La Striscia di Gaza verrà cinta d’assedio da terra e dal mare da parte di Israele che già l’aveva resa impraticabile dal cielo avendone distrutto l’aeroporto – costruito anche con i finanziamenti europei – nel 2001. L’economia della Striscia verrà praticamente strozzata e gran parte dei gazawi sopravvivrà grazie ai sussidi internazionali e, peraltro, sarà costretta ad acquistare le merci israeliane divenendo così, per colmo di prevaricazione, un mercato di sbocco nonché di reddito per i produttori dell’ “unica democrazia del Medio Oriente”.
Nell’agosto del 2005, cioè a pochi mesi dalle elezioni palestinesi, Sharon, prosegue Cecconi nella sua ricostruzione, aveva ordinato l’evacuazione dei 9000 coloni che occupavano Gaza. “Sharon era un uomo tanto intelligente quanto cinico, spregiudicato e crudele. Perché aveva fatto quella mossa? Una delle ipotesi è che supponesse una vittoria di Hamas e volesse isolare la Striscia dal resto della Palestina. Il divide et impera aveva funzionato benissimo per raggiungere quello scopo.” Ma perché isolarla? “Probabilmente aveva messo gli occhi sull’enorme giacimento di gas naturale, il “Gaza marine”, per il cui sfruttamento Arafat aveva iniziato un accordo con la BG britannica nel 1999, accordo rimasto in embrione per le interferenze israeliane”. Ci sono anche altre ipotesi circa la mossa di Sharon ma un ictus lo portò fuori dalla scena politica nel dicembre dello stesso anno e non sapremo mai quale fosse il suo piano…Però la separazione avvenuta nel 2007 tra la Cisgiordania governata dall’Anp, e la Striscia di Gaza governata da Hamas era stato il vero successo della politica israeliana del divide et impera e Sharon ne era stato uno degli artefici. “Dopo averla assediata e senza più la presenza dei coloni, l’assediante periodicamente aggredirà la Striscia con bombardamenti a tappeto di durata e intensità variabile. Quelli estemporanei, di solito di una o due notti, fanno parte della routine e non godono di alcun cenno nella stampa straniera, neanche se colpiscono un luogo di culto perché, non essendoci sinagoghe, non ha senso sprecare due righe per il danneggiamento di una chiesa o di una moschea. I bombardamenti che hanno meritato l’attenzione della stampa estera sono stati quelli del 2008/09, del 2012, del 2014, del 2021, aggressioni militari di durata breve che tuttavia hanno ucciso più di 1000 bambini, circa 5000 adulti e ne hanno feriti gravemente circa 15.000. Tutte vittime giustificate dal “diritto di Israele a difendersi” come fosse la “giusta” reazione al lancio di razzi (che fanno paura, sì, ma danni prossimi allo zero) che in realtà sono, invece, la risposta urlata al mondo, solitamente sordo, come reazione a qualche azione criminale di Israele.”
E solo ora, grazie alla lucida e completa ricostruzione offerta da Cecconi, possiamo arrivare a comprendere il 7 ottobre. Il sogno del popolo di Gaza “è quello di rompere la gabbia creatagli intorno da Israele, soprattutto i giovani sentono questa prigione insopportabile e molti sognano di uscirne, almeno per assaporare quel mondo luccicante che vedono in televisione. Ma il mondo che sbandiera la bellezza della libertà non ha niente da dire contro questa umiliante recinzione lunga circa 40 chilometri per la parte terrestre, né contro le imbarcazioni militari israeliane che si divertono a sparare ai pescatori gazawi se si avvicinano ai 3 chilometri dalla costa per poter pescare in acque meno inquinate. Così come non ha avuto niente da dire quando Israele ha distrutto l’aeroporto internazionale di Rafah”. Eppure, prosegue, in questa situazione che farebbe inorridire chi è abituato alla libertà, almeno a quella di movimento, sono riuscite a nascere esperienze artistiche, sportive, culturali e centri musicali e scuole di pittura e biblioteche e tanto altro che nel sogno dei giovani gazawi un giorno sarebbe stato mostrato ai loro coetanei fuori dalla prigione. “Ma oggi tutto è indistintamente sotto le bombe di quei soldati israeliani così allegri e giocherelloni che diffondono fieramente i loro video sui social mentre brindano all’esplosione di una scuola, o mentre si sbellicano dalle risate rotolando sulle carrozzine dei bimbi palestinesi ammazzati, o mentre dedicano le bombe a qualche ragazzino sulla cui casa sono destinate a esplodere. Tutto ciò che ora il mostro israeliano ha distrutto era stato costruito sotto l’autorità governativa di Hamas. Se la maggior parte delle scuole erano dell’ONU, le 8 università erano palestinesi e così pure un altissimo numero di presidi sanitari, dal grande ospedale Shifa all’ospedale pediatrico Rantissi, intestato guarda caso proprio al dirigente di Hamas assassinato nel 2004. Cosa ti dice tutto questo se non che Hamas, con tutte le critiche possibili dovute al suo conservatorismo religioso e al suo controllo opprimente, è comunque radicato nella società che governa?”
Quindi, conclude Patrizia Cecconi questa prima parte dell’intervista per Egemonia, secondo le sue esperienze dirette chi racconta che i palestinesi di Gaza sono ostaggi di Hamas, o non conosce Gaza o è in malafede. E per spiegarlo ci racconta del suo primo viaggio che vi trascriviamo parola per parola perché fondamentale per comprendere la resistenza palestinese.
“La prima volta che ho messo piede a Gaza è stato nel 2012. Avevo ancora nella mente i drammatici e preziosi reportage inviati da Vittorio Arrigoni durante il massacro israeliano denominato piombo fuso di tre anni prima e mi aspettavo solo disperazione; invece, trovai tanta povertà ma altrettanta forza vitale. Il ministro per l’ambiente mi spiegò che, quando i coloni se ne andarono le tubazioni dell’acqua vennero dirottate andando a servire i kibbutz che ora si trovano oltre la recinzione e questo spiega facilmente perché a 500 metri di distanza, con lo stesso tipo di suolo, i kibbutz hanno una vegetazione lussureggiante mentre dalla parte gazawa della rete prevale il giallo della sabbia.
Quel primo viaggio a Gaza mi servì per saggiare la situazione. Ebbi contatti col presidente dell’associazione agricoltori, una forza della natura “targato” Fronte popolare; con personale e dirigenti della Mezzaluna Rossa, generalmente “targati” Fatah; con medici, insegnanti, militanti di diverse fazioni politiche che non mi sembra si scannassero né, tantomeno, che dovessero nascondere la propria scelta politica non essendo di Hamas. La cosa negativa che avrei percepito, soprattutto nei miei successivi soggiorni, era il timore diffuso di aver accanto un infiltrato, una spia di Israele. Dopo questo primo assaggio durato circa una ventina di giorni sono riuscita a tornare nella Striscia quasi ogni anno fermandomi di 3 mesi in 3 mesi fino a un massimo di 9 mesi nel 2018, quando ho partecipato a tutti i venerdì della Grande Marcia del Ritorno.
Manifestazione non violenta, ma solo da parte palestinese, mentre da parte israeliana i cento tiratori scelti, assoldati per reprimere i manifestanti (intere famiglie con vecchi e bambini) sceglievano i loro bersagli assassinando circa 360 esseri umani colpevoli di essere palestinesi e di rivendicare la Risoluzione 194 dell’ONU, e lasciando mutilate alcune centinaia di persone, soprattutto ragazzi, grazie all’uso di proiettili a espansione, vietati per legge ma non per Israele che, si sa, è al di sopra della legge! Quella straordinaria e quasi folle iniziativa nasceva, come si suol dire, dal basso e non da Hamas, che poi ovviamente l’avrebbe cavalcata. In quell’occasione ho realmente toccato con mano il desiderio dei partecipanti di raggiungere una reale riconciliazione tra le diverse forze politiche sotto un’unica bandiera. Alla Grande Marcia partecipavano tutti, Hamas, Fatah, Fronte Popolare, Jihad, Fronte Democratico e senza partito. Donne, bambini, anziani. E i feriti dei venerdì precedenti, spesso amputati, tornavano a partecipare reggendosi sulle stampelle. I nostri media s’inventarono, anzi ripeterono, quel che gli suggeriva la hasbara e perfino un’iniziativa straordinaria come quella veniva derubricata e raccontata come manipolata da Hamas e, ovviamente, antisemita! Tra il 2016 e il 2019 ho vissuto a stretto contatto con i gazawi e ho conosciuto persone di tutti i tipi, di tutti i livelli sociali e culturali e di tutte le fazioni politiche.
Voglio insistere su quest’ultimo punto: tutte le fazioni politiche, e lo faccio per sfatare la leggenda che a Gaza chi non è di Hamas o almeno della Jihad, non ha voce. Così come vorrei sfatare il ritornello che le ragazze non possono studiare e le poche che possono arrivare all’università possono farlo solo se sono seguaci di Hamas, o, ancora, che sono obbligate a indossare il niqab (l’abito nero con il velo che lascia vedere solo gli occhi), o almeno l’hijab e che sono schiacciate dalla violenza patriarcale esercitata da Hamas. Niente di tutto questo è vero, le università sono piene soprattutto di ragazze e solo se scelgono l’università islamica (distrutta completamente proprio l’altroieri dai mostri dell’IDF, non per crudele gratuità ma per cancellare un simbolo di identità culturale) debbono indossare il velo, ma di università nella Striscia di Gaza, che misura 340 chilometri quadrati, ce ne sono 8, più di quelle che offre il Comune di Roma che di chilometri quadrati ne ha 1.285.
Aggiungo che nel 2018 nel villaggio di Al Qatatwa, distretto di Khan Younis, grazie al finanziamento ottenuto prevalentemente dalla fondazione Vittorio Arrigoni, abbiamo realizzato un ambulatorio pediatrico circondato da un giardino (ora tutto è solo macerie e polvere) collaborando con medici, paramedici e ingegneri del Fronte democratico, del Fronte popolare, di Fatah e di Hamas. Così come posso testimoniare che la presidente di una charity musulmana, l’ingegner Lina A. di fede rigorosamente islamica, collaborava con suor Nabila, la madre superiora della scuola cattolica delle Rosary Sisters, portando aiuti alle famiglie in difficoltà. Anche quella bellissima scuola cattolica, che accoglieva circa mille studenti, maschi e femmine, in maggioranza musulmani, dotata di teatro, auditorium, biblioteca, grande palestra in cui si organizzavano saggi di danze tradizionali con tanto di ministri (ovviamente di Hamas visto che era il partito di governo) ed altri ospiti illustri non c’è più. Così come non c’è più la piccola moschea femminile dirimpetto alla chiesa delle Rosary Sisters, visitata per curiosità dopo che suor Nabila mi aveva detto che era dedicata alla Sacra famiglia, cioè Gesù, Giuseppe e Maria. Incredibile vero! Incredibile per chi crede alle scemenze o alle menzogne che vengono raccontate su Gaza. La Gaza i cui abitanti sarebbero ostaggi di Hamas!”
(Fine prima parte)
di Alessandro Bianchi