A due anni esatti dall’assalto a Capitol Hill da parte dei seguaci di Donald Trump, la storia si ripete.
In Brasile centinaia di supporter dell’ex presidente Bolsonaro sono arrivati in autobus nella capitale Brasilia e hanno assaltato il Congresso, il Palazzo presidenziale e il Tribunale Supremo: i luoghi fisici in cui risiedono i tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
L’obiettivo era chiaro: spingere all’intervento le Forze Armate, invocando un golpe per eliminare dai giochi il legittimo presidente eletto Lula, la cui cerimonia di investitura ha avuto luogo la settimana scorsa dopo le elezioni di ottobre in cui aveva sconfitto Bolsonaro, raccogliendo più di sessanta milioni di voti validi. Per fortuna, nel giro di qualche ora, le forze di sicurezza hanno ripreso il controllo dei tre edifici vandalizzati dai fan di Bolsonaro, procedendo a oltre 400 arresti.
I fatti di Brasilia di questa domenica non sono una semplice parentesi da rimuovere in fretta e furia, tirando un sospiro di sollievo per poi procedere come nulla fosse. Ecco qui alcune lezioni utili per i prossimi mesi e non solo in Brasile:
– L’estrema destra, una volta di più, si mostra col suo vero volto: dagli Usa al Brasile, passando per l’India e il continente europeo, sempre più spesso è ben disponibile a utilizzare la violenza per sovvertire un quadro che avverte come non confacente ai propri interessi e/o desiderata;
– Esiste una sorta di “internazionale nera”, io credo, tutt’altro che ghettizzata nella sola America Latina: i codici utilizzati, le battaglie poste in cima all’agenda, le accuse sempre identiche mosse agli avversari in ogni angolo del globo, i temi su cui battono, sono frutto di collegamenti stabili e costanti. Il paradosso, dunque, è che la destra del XXI pare più “internazionalista” dei progetti che nascono invece in seno al campo popolare;
– Da anni politologi, sondaggisti e media ci riempiono la testa con la storiella della “polarizzazione” del quadro politico: la teoria vorrebbe che, nell’epoca dei populismi, assistiamo a un processo parallelo di estremizzazione delle destre (Trump, Bolsonaro, Modi, Salvini/Meloni, Le Pen, ecc.) e delle sinistre (Sanders, Lula, Iglesias/Podemos, Mélenchon, Corbyn, ecc.). Di fronte a tale presunta polarizzazione, i “liberal” di ogni latitudine hanno la soluzione pronta: la battaglia politica si vince al centro, sulla base della moderazione.
– Peccato si tratti di una realtà a uso e consumo di chi la confeziona. Perché quella “vera” ci parla non di polarizzazione, ma di una radicalizzazione delle destre: ricorso alla violenza e nostalgia per le dittature militari e fasciste, pretesa che il potere – e non semplicemente il governo – appartenga loro per via di un diritto quasi divino, che non può essere scalfito dall’esercizio di un potere democratico;
– Un tentato golpe e l’assalto violento alle istituzioni democratiche e rappresentative non nascono né improvvisamente né dal nulla. Si costruiscono nel tempo. Con il potere mediatico che sparge a piene mani fake news, fabbricando il nemico da combattere e sconfiggere. Lula, ad esempio, è accusato di essere un presidente illegittimo. Sulla base di cosa? Del nulla. O, meglio, di presunti brogli elettorali, sempre denunciati, mai provati ma puntualmente rilanciati dai media. Tutto il comportamento di Bolsonaro in campagna elettorale e all’esito del voto (così come la voluta assenza alla cerimonia del passaggio di consegne al rivale che l’aveva sconfitto) è stato infatti teso a delegittimare l’avversario, avanzando sospetti che per molti dei sostenitori dell’ex militare sono diventati granitiche certezze.
– Ancora: in queste ore, pure qui in Italia, non sono rari i commenti di chi sostiene che “Lula però è un corrotto”: falso. Ma allora perché in così tanti, dentro e fuori il Brasile, ne sono convinti? Perché per anni – a mio avviso – Lula è stato vittima di un golpe giudiziario e mediatico. Dipinto come corrotto dai grandi media brasiliani è stato poi indagato e incarcerato. Per molti la storia finisce qui. La parte successiva, quella che ci racconta di accuse cadute come un castello di neve all’era del surriscaldamento climatico, del grande inquisitore Sergio Moro che, guarda caso, dopo aver interdetto Lula dalla candidatura alle elezioni del 2018 vinte da Bolsonaro, è stato nominato da quest’ultimo come ministro della Giustizia, è come se non esistesse. Per molti Lula era ed è un corrotto. E contro un corrotto ci sta anche un colpo di Stato.
– Gli aspiranti golpisti a Brasilia non ci sono arrivati con le proprie auto. Sono stati trasportati con autobus. L’assalto di questa domenica non è l’azione spontantea di comuni cittadini, ma il tentativo pianificato di golpe. E bene fa Lula a dichiarare che saranno perseguiti anche i “finanziatori” dei vandali;
– Gli aspiranti golpisti non hanno incontrato resistenza da parte delle forze di polizia che, anzi, in molti casi – come dimostrano diversi video – hanno solidarizzato o addirittura esultato con i vandali. La complicità delle forze dell’ordine ci insegna un’altra cosa: quando si muove l’estrema destra, l’occhio più che sulla folla di manifestanti dovrebbe essere puntato sui poteri dello Stato. Perché l’estrema destra ha profondi vincoli con questi poteri, è innervata negli apparati dello Stato. Quando la marionetta si muove occorre capire chi permette ai fili di muoversi. E magari, nel caso specifico, si potrebbe scoprire che qualche filo lo muovono addirittura dalla Florida.
Infine: il governo italiano era stato rapidissimo a condannare i “vandali” che avevano “sfregiato le istituzioni” con la vernice sul Senato. In queste ore è stato più lento di un bradipo nel dare solidarietà al legittimo presidente Lula contro i vandali che hanno assaltato le istituzioni brasiliane. L’esecutivo, coi tweet del presidente del Consiglio Meloni e del ministro degli Esteri Tajani, non ha avuto il coraggio di pronunciare né il nome di Lula né quello di Bolsonaro. Il capolavoro è della Lega: “Condanniamo ogni violenza, in Brasile come ovunque”. “Ogni”, “ovunque”…
Ecco, gli aspiranti golpisti brasiliani in realtà ci dicono molto anche sull’estrema destra di casa nostra.
di Giuliano Granato – portavoce di Potere al Popolo