Quella sera del 22 marzo 2020, quando un amico ci disse che probabilmente saremmo partiti proprio con l’aereo dei medici da l’Avana, non ci avevamo fatto troppo caso. Preoccupati come eravamo, per le condizioni descritte in Italia, increduli e frastornati da una realtà, quella cubana, che ci aveva proiettati in un mondo inspiegabilmente bello, non trovavamo le parole, nelle brevi telefonate a casa, per descrivere “quella” bellezza. A partire dal senso di sicurezza che si respirava ovunque, la libertà, la solidarietà per i Paesi come il nostro che stavano vivendo l’inizio di una pandemia, che si sarebbe aggravata da lì a poco, in tutto il mondo.
Aver conosciuto questo popolo, anche se brevemente, e le reali difficoltà del lunghissimo blocco economico imposto dagli Stati Uniti, che sopportano da 60 anni, ci ha scardinato le poche (e confuse) idee, per così dire “occidentali”, su quest’Isola.
Abbiamo viaggiato, camminato, dormito, parlato (in un improbabile italiano-spagnolo), mangiato, fotografato e…filmato! Volevamo imprimerci dentro quell’atmosfera, quei sorrisi, gli sguardi e le modalità solidali tra persone; tutte cose così difficili da ritrovare nella normalità, dalle nostre parti….. Così, per caso o per destino, in quella serata all’aeroporto José Martí, abbiamo vissuto quel lungo momento di “umida” felicità che ci auguriamo, rivedendolo, vi coinvolga. Quelle immagini che qui riproponiamo, filmate coi nostri cellulari, in piedi sui sedili metallici di quella sala d’attesa, così piene di imperfezioni e sbalzi, regalate ai nostri amici più cari in Italia – a pochi minuti dal decollo – hanno testimoniato la curiosità, con oltre2 milioni di visualizzazioni, ma anche l’interesse mediatico sul tema. L’emozione raccontata e raccolta così abbondantemente, ha avuto un prosieguo nella nostra città, Torino, dove “quei” medici e tutto il personale sanitario hanno operato, senza risparmiarsi e salvato molte vite. Di nuovo per caso e per destino, abbiamo avuto occasioni per conoscere e ascoltare le loro parole e la loro intensa partecipazione al momento che stavamo vivendo in Italia, hanno riacceso in noi il ricordo di quel senso di fraternità già respirato a l’Avana. Non solo. Quel loro modo di porsi, ci ha fatto capire ancora di più che è possibile e giusto svolgere il mestiere di medico come missione, mai divisa da quell’empatia umana, così importante e fondamentale per la cura delle persone.
Ogni associazione, collettivo, centro culturale che ha avuto la magnifica possibilità di testimoniarli, ha prodotto circuiti allargati e sensibili di solidarietà concreta, che ancora vive e si agita dentro i nostri cuori tanto bisognosi di umanità, quanto feriti da un falso e malato “benessere”.
Hasta siempre!