Nilda semina e raccoglie lattuga, pomodori, cipolle, peperoncini, patate dolci, fagioli neri, manioca, arachidi, avocado e limoni; e poi alleva maiali, tacchini, anatre, conigli e diversi volatili, e ha due cani. Con l’aiuto del Centro Lavastida ha recentemente installato un biodigestore che trasforma le deiezioni animali in gas naturale, e un bagno ecologico a secco per i rifiuti organici che produce compost.
Per tracciare il ritratto di una comunità, per riconoscere il sentimento collettivo e i tratti identitari di un Paese ci sono tanti modi, a cominciare dallo studio, purché attento e libero da pregiudizi. Alla base, dovrebbe esserci sempre la capacità di guardare e ascoltare per intuire le pulsioni che tengono unita la sua gente quando è unita, o che la separano quando è infelice.
Si può fare partendo dalle espressioni della cultura e dell’arte, ma si può fare anche – e forse soprattutto – attraversando la vita delle persone comuni mentre lavorano, mangiano o si divertono, se si divertono. Si può fare cercando di capire se la gente preferisce stare insieme o isolarsi, se chi sta insieme si aiuta a vicenda oppure se chi si isola lo fa perché è spaventato dall’altro o in competizione. Si può fare cercando di capire se e come venga declinata nella vita di tutti i giorni l’intelligenza individuale e collettiva; se la conoscenza e l’esperienza acquisite attraverso le difficoltà e la storia trovino uno sbocco e un’applicazione nella vita pratica o se debbano invece immolarsi sull’altare dell’omologazione in un mondo che sembra non potersi più permettere di affidarsi alle persone e all’esperienza umana, ma preferisce affidare la conoscenza e l’esperienza a procedure standardizzate e ripetibili di cui i computer saranno presto gli unici depositari.
Per ciò che riguarda Cuba, ad esempio, si potrebbe guardare e ascoltare la sua gente a partire dall’attenzione che rivolge alla natura, per almeno due motivi: il primo è il diffuso afflato del continente latinoamericano con la Terra sicuramente più forte che da noi, cosiddetto “Primo Mondo”; il secondo è che Cuba, costretta da anni ad affrontare con arguzia ogni situazione per compensare lo svantaggio imposto dalla guerra economica di cui è vittima, ha elaborato una particolare sensibilità fatta di attenzione e rispetto per la terra e per gli uomini che non può non sorprenderci. Anche in questo caso, insomma, Cuba ha qualcosa da raccontare. Chi vorrà ascoltarla, con buona probabilità sentirà parlare di permacoltura.
Una definizione di permacoltura
La permacoltura è la progettazione – e il successivo mantenimento – di habitat umani sostenibili e sistemi agricoli che imitino le relazioni esistenti nei modelli della natura. Gli assi portanti della permacoltura sono la produzione di cibo, la progettazione del paesaggio, l’organizzazione di strutture e infrastrutture sociali e l’autosufficienza, fino alla produzione di energia. Comprende quindi il ricorso alle energie rinnovabili e l’attuazione di processi con uso sostenibile delle risorse a livello ecologico, economico e sociale.
La parola permacoltura è una contrazione dei termini “permanente” e “coltura”, oppure anche di “cultura”. In entrambi i casi, il significato della parola è calzante per indicare un concetto di coltura – o cultura – stabile e duratura.
Storia minima della permacoltura
La permacoltura è stata sviluppata negli anni ’70 dagli australiani Bill Mollison e David Holmgren in risposta ai problemi dell’inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria conseguenti ai sistemi agricoli e industriali esistenti. I due studiosi raccolsero le antiche pratiche e le incrociarono con le moderne conoscenze sulle piante, sugli animali e sui sistemi sociali, aggiungendo alcune idee originali. Sebbene molti aspetti che oggi sono propri della permacoltura fossero già noti, la novità importante e la vera “rottura” rispetto alla conoscenza consolidata fu il nuovo modello generale a cui la permacoltura si ispirava. A differenza di altri sistemi agricoli moderni, la permacoltura si basava interamente sull’ecologia, e i suoi risultati sono stati un nuovo modo di sostenere e arricchire la vita senza il degrado ambientale e sociale dei nostri sistemi, senza “consumare” la natura.
Fin dalla sua nascita, la permacoltura è stata definita come una risposta positiva alla crisi ambientale e sociale che viviamo. Secondo Bill Mollison, la permacoltura è una filosofia e un modo di usare la terra che combina microclimi, piante stagionali e perenni, animali, suolo, uso dell’acqua e necessità umane per creare comunità produttive e coese.
Obiettivi della permacoltura
La permacoltura è un sistema di progettazione per la creazione di insediamenti umani sostenibili, ecologicamente solidi ed economicamente fattibili che producano quanto necessario per soddisfare bisogni primari e specifici senza sprecare o contaminare le risorse delle comunità, ma che al contrario le preservino.
La permacoltura usa le qualità intrinseche di piante e animali insieme alle caratteristiche naturali dei diversi ambienti per produrre un sistema di supporto alla vita, indifferentemente nelle città, in campagna o nel più piccolo spazio disponibile.
La base della permacoltura è l’osservazione degli ecosistemi naturali con gli occhi della saggezza ancestrale dei popoli primitivi insieme a quelli della conoscenza scientifica. Sebbene sia fondata su modelli originalmente ecologici, la permacoltura mira a creare un sistema di ecologia coltivata in grado di produrre più cibo di quanto la natura stessa non sia già in grado di fare.
La permacoltura sfrutta tutte le risorse e il maggior potenziale di ogni elemento del paesaggio, oltre al maggior numero di elementi di ogni contesto e spazio, sia orizzontale che verticale. Gli eccessi o i rifiuti prodotti da piante, animali o dalle attività umane, vengono riutilizzati a vantaggio di altre parti del sistema. Le colture e la scelta della destinazione dei terreni sono progettate per sfruttare l’acqua e il sole, oppure per proteggere altre colture. Si ricorre ad abbinamenti particolari di alberi, arbusti e piante rampicanti che si nutrono e si proteggono a vicenda. Specchi d’acqua e altri elementi sono costruiti per sfruttare la grande diversità di attività biologica nell’interazione degli ecosistemi.
La permacoltura non si occupa solo di coltivazioni, ma è anche un modo di vivere. E’ un insieme di principi etici, come la cura delle persone o la condivisione di risorse. Non tratta solo di come ottenere il cibo, ma anche e soprattutto di persone che lavorano insieme e si prendono cura l’una dell’altra. La permacoltura può essere applicata a tutti gli aspetti della vita umana.
Caratteristiche principali
La permacoltura è una sintesi della conoscenza tradizionale e della scienza moderna applicabile sia nell’ambiente rurale che in quello urbano; usa i “sistemi naturali” come modello per lavorare in simbiosi con la natura e imitarla, per progettare ambienti sostenibili – così come le infrastrutture sociali ed economiche – che producano ciò che può soddisfare meglio le necessità umane fondamentali.
Etica e Filosofia
La permacoltura è guidata dal principio etico del rispetto della terra e delle persone. Lavora con la Natura, non contro. Chi pratica la permacoltura pensa prima di fare, dedica tempo a immaginare il modo migliore per fare. Una scelta ben studiata può far risparmiare tempo ed energia a lungo termine.
Le pratiche
Seminare usando il minimo spazio disponibile. Il principio può essere spinto fino alla dimensione domestica, creando sistemi di piante e animali anche sul balcone, nel cortile, sui muri e sui tetti. In altre parole, la permacoltura può usare spazi che altrimenti non sarebbero utilizzati.
La diversificazione è molto importante: la permacoltura punta alla biodiversità del sistema (il frutteto, il campo, l’orto, l’abitazione) e la coltiva intensamente. È importante avere un po’ di tutto, così da non dipendere mai troppo da qualcosa in particolare, nessuna coltura deve essere indispensabile. Questo principio dovrebbe valere anche per le persone che lavorano nel sistema, per l’assegnazione dei compiti, e poi anche per le fonti d’acqua, le piante e gli animali. È bene piantare diverse varietà delle stesse specie vegetali, magari utilizzando diversi nutrienti in modo da produrre frutti in tempi diversi ed eventualmente soddisfare i bisogni di altre coltivazioni, oppure aumentare la probabilità che crescano anche in condizioni climatiche diverse o possano almeno in parte resistere ad eventuali attacchi di parassiti o ad altre criticità naturali.
La selezione delle piante deve includere varietà precoci, medie e tardive per avere una produzione continua, eventualmente supportata da buone pratiche di conservazione. Particolare cura e attenzione vanno poste anche per la conservazione e la riutilizzazione dei semi.
Tutti gli elementi del sistema dovrebbero “funzionare in più direzioni”. Ad esempio, i polli non solo depongono le uova, ma eliminano anche i parassiti, aerano il terreno, producono compost, producono altri polli che si possono mangiare. Nello stesso modo possiamo pensare anche agli altri elementi come il vento e l’acqua, e a come usarli nel sistema. Un classico esempio di trasformazione da potenziale elemento avverso a elemento “funzionale” è certamente l’acqua piovana: piuttosto di vederla come rischio di inondazioni, si può canalizzare e dirigere verso serbatoi o aree che normalmente non sono irrigate e che possono quindi trarre beneficio dall’acqua in eccesso.
La permacoltura a Cuba
La Rivoluzione cubana vive in carenza di risorse praticamente da sempre. Cuba è costretta a farsi bastare ciò che riesce a produrre da sola da quando è sotto embargo. Dalla caduta del blocco sovietico, ovvero da quando l’Unione Sovietica smise di fornire con regolarità l’intera catena dei derivati del petrolio, Cuba è abituata a vivere in precarietà energetica continua. Il PIL di Cuba, nel 1990, crollò dalla sera alla mattina nella misura dell’85%, e il consumo di petrolio del 50%. Le calorie alimentari procapite calarono del 30-40%.
L’agricoltura, che in precedenza assomigliava a quella del resto del mondo e utilizzava fertilizzanti, pesticidi, macchinari e sistemi di allevamento industriali, dovette necessariamente rimodellarsi. Del “biologico” si fece di necessità virtù, niente a che vedere con le seduzioni opportunistiche dei mercati ricchi. I bovini diventarono più preziosi per il lavoro nei campi che per i banchi delle macellerie. Il consumo della frutta e della verdura aumentò esponenzialmente e molti iniziarono a coltivarle da soli o negli orti collettivi urbani, dovunque esistesse un metro quadro di terra.
Oggi la produzione di cibo è al 90% dei livelli pre-crisi, ma il consumo di energia è invece molto, molto al disotto. I Cubani godono di buona salute e hanno un sistema sanitario migliore di quello degli Stati Uniti e che, tra l’altro, punta molto sulla prevenzione. La mortalità infantile è la più bassa dell’intero continente americano. Il sistema sanitario, così come quello scolastico, non hanno mai smesso di funzionare, neanche nei momenti più duri, così oggi, pur contando solo il 2% della popolazione latinoamericana, Cuba possiede l’11% di ricercatori e scienziati del continente. Gli uomini vanno in pensione a 60 anni, le donne a 55, ma è prevedibile che queste soglie saranno spostate in avanti perché l’eta media sta aumentando.
Durante la drammatica recessione del Periodo Especial degli anni ’90, il primo problema da risolvere fu il reperimento del cibo. I cubani dovettero repentinamente inventarsi un nuovo modo di stare al mondo, escogitare sistemi diversi da quelli industriali per coltivare e conservare il cibo.
La situazione diventò presto poco meno che apocalittica: non c’era petrolio per far funzionare i mezzi agricoli, i trasporti e gli impianti industriali; non c’era combustibile per produrre energia elettrica; non c’era cibo per la produzione zootecnica e morì il 70% degli animali; nel lavoro dei campi i trattori vennero sostituiti dai cavalli e dai pochi capi di bovini sopravvissuti; non c’erano più fertilizzanti.
Il sostegno delle istituzioni e delle associazioni civili
Le difficoltà non smorzarono la determinazione dei cubani che, anche in questo caso, non si persero d’animo e si fecero attori di molte iniziative di “buon senso”. Alcune di queste finirono per essere “istituzionalizzate”, come nel caso delle fattorie urbane (granjas urbanas), veri e propri orti collettivi in città, coltivati nei parchi e nelle aree pubbliche trasformate in fonti di cibo. Si iniziò a coltivare perfino sui tetti delle case e sui balconi. Oggi gli “organoponici” e le “granjas urbanas” sono sostenute da una rete di tecnici e agronomi professionali che collaborano con le università e insegnano ai cittadini a coltivare in modo efficiente, senza petrolio e chimici derivati.
La Fundación Antonio Nuñez de la Naturaleza y el Hombre, è invece un’associazione civile non governativa che ha sviluppato una profonda coscienza ambientale e che riconosce la natura come parte dell’identità nazionale in una prospettiva che coinvolge pesantemente la dimensione socioculturale per la soluzione dei problemi ambientali. Nasce nel 1994, ma solo alla morte del suo fondatore, nel 1998, la fondazione prende il suo nome. Sua moglie ne continua l’opera e la loro figlia, Liliana Núñez Veliz, ne è oggi la presidente. Missione della fondazione è la ricerca e lo sviluppo di programmi e azioni che promuovano la cultura naturalistica in ambito locale, nazionale e internazionale abbracciando i temi dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile, della permacoltura, dell’agricoltura urbana, del turismo etico, della speleologia e dell’arte rupestre.
La Fondazione lavora e collabora con le istituzioni di altri paesi su cinque direttrici: la ricerca geostorica che indaga le relazioni tra le scienze sociali e quelle naturali; l’educazione ambientale che sollecita la sensibilità dei cittadini; lo sviluppo locale sostenibile che promuove sperimentazioni partecipative; l’ambiente e la società che eroga corsi di formazione ai funzionari pubblici e pubblica libri e riviste scientifiche; la conservazione e l’organizzazione della conoscenza che gestisce una biblioteca e l’archivio multimediale.
Nel discorso pronunciato durante la cerimonia dell’atto costitutivo della Fondazione, il 16 maggio 1994, Antonio disse: “Siamo nati per affermare i valori ecologici, per migliorare la salute del pianeta malato di contaminazione. Siamo nati anche per combattere l’inquinamento creato dall’Uomo e dalle piaghe politiche che in molti luoghi mirano a trasformare il mondo in un inferno di emarginazione. Ci battiamo, in una parola, per un Uomo Nuovo e per una vita piena in una Natura sana”.
Due donne speciali, due storie emblematiche
Potrebbe sembrare la solita storiella esagerata sulla fantasia contadina cubana, ma non è così. Nella provincia di Santi Spíritus c’è La Finca del Medio, una fattoria molto speciale, un baluardo del rispetto e dell’amore per la natura e per l’uomo, un laboratorio di creatività in perenne fermento. Alla Finca succede qualcosa ogni giorno: un raccolto, una semina o una fioritura, ma ogni cosa ha sempre origine dalla stessa smisurata passione per la terra di un’intera famiglia e del suo sentimento di appartenenza in senso letterale, cioè di sentirsi parte dell’ambiente e dello spazio in cui vive.
Casimiro e Caridad sono i “capostipiti”, i fondatori che hanno reso possibile questo miracolo grazie alla caparbietà e al sacrificio. Con il crescere della famiglia – un figlio e due figlie, nuora, generi e nipoti – è cresciuto anche il legame con quest’angolo di paradiso che a pieno titolo può definirsi un laboratorio di straordinaria innovazione.
Il modo migliore per avvicinarsi alla visione di questo piccolo universo è ascoltare le parole di Leidy, la figlia più grande, prima cubana a laurearsi in Economia e Agroecologia, docente all’Università di Santi Spíritus e contadina instancabile: “Vivevamo in paese, ma durante il periodo especial ritornammo nella fattoria che era stata di mio bisnonno. Era in rovina, non era più produttiva e l’idea di rimetterla in sesto non era certo seducente. Ma mio padre vi vide un’opportunità per tutta la famiglia per tornare tutti insieme all’agricoltura, seppur di un tipo nuovo perché a tutti noi era capitato di essere coinvolti dai nonni nella vita campesina, ma in realtà non avevamo mai provato direttamente cosa comportasse. Ci trovammo di fronte al panorama desolante di un territorio senza risorse in un momento in cui le condizioni del Paese erano difficili per tutti. Ricominciammo dall’agricoltura tradizionale che conoscevamo, ma poi abbiamo studiato altre pratiche, più rispettose dell’ambiente e salutari per noi. Mio padre, che è un innovatore, trovò soluzioni creative ai problemi che a mano a mano affrontavamo. La permacoltura ci consentì di progredire ogni giorno, e la famiglia si riscoprì più unita perché tesa a uno sforzo e un obiettivo comune. Mia sorella, ad esempio, è una giovane artista, ma ogni giorno si alza presto per mungere le mucche. Ha costruito strumenti di lavoro e fa lavori di carpenteria. La nostra esperienza dà motivazione a molte altre famiglie contadine, a Cuba e in altri luoghi del mondo”.
E prosegue: “La fattoria si sviluppa su circa 10 ettari. Tutti, in famiglia, abbiamo partecipato a eventi e seminari su agroecologia, permacoltura, uguaglianza di genere e cibo, sia a Cuba che all’estero. Tutti siamo d’accordo che l’agroecologia che si potrebbe fare a Cuba potrebbe diventare a lungo termine un faro in grado di portare il paese a traguardi di autosufficienza alimentare e anche di primissima qualità, salutare, a “chilometri zero”, senza magazzini e conseguenti deperimenti. Siamo convinti che Cuba potrebbe farcela”.
Ciò che contraddistingue questa specialissima “task force” è anche la volontà e la determinazione di affrontare i problemi del cambiamento climatico e gli effetti delle catastrofi naturali tipiche della regione. Qui si combinano intelligentemente le conoscenze “ancestrali” ereditate dalla famiglia con quelle scientifiche acquisite in anni di studio. Leidy spiega con orgoglio il ruolo della Finca nell’educazione che non cessa di portare nuovi adepti alla pratica della permacoltura: “Abbiamo seguito i corsi del precursore della permacultura David Holmgren e della Fondazione Antonio Núñez Jiménez, e stiamo pensando di organizzare seminari sugli argomenti sui quali ci sentiamo più preparati. Vogliamo condividere le nostre conoscenze e imparare da chi ci viene a trovare” .
Non è un caso che la Finca del Medio abbia “incrociato” la ricerca condotta da Terra Madre di Carlin Petrini: è proprio qui che ha sede la comunità di Slow Food Cuba. Alla domanda “Cosa significa per voi la collaborazione con Slow Food?”, Leidy risponde senza esitazione: “Ci offre tante possibilità per migliorare la conoscenza e intuire sviluppi utili basati sui principi di equità, inclusione, etica, indipendenza delle risorse; e poi di efficienza ecologica, produttiva, tecnologica, energetica, economica, sociale e politica. Gli scambi tra i contadini, i ricercatori e i decisori di altri Paesi sono per noi occasioni uniche che da soli non potremmo mai cogliere”.
L’impatto energetico durante il periodo especial, oltre che sui trasporti ebbe effetti negativi ovviamente anche sulla conservazione degli alimenti, ma, ancora una volta, i cubani trovarono risposte semplici e geniali a problemi che avevano un urgente bisogno di soluzioni alternative.
Bella e interessante è la storia di Nilda Iglesias Domecq, laureata in Matematica e docente all’Università di Santiago, formatrice in agroecologia e permacoltura e… produttrice di conserve. Nilda insegna al mattino, e al pomeriggio si “sporca le mani” con la terra dell’appezzamento dietro casa sua, dove coltiva gli ortaggi per il consumo familiare. In tempi difficili ha saputo trarre il meglio dalla sua esperienza: quando rimase sola, vent’anni fa, si occupò della figlia adolescente e mise in atto ciò che aveva appreso dalla nonna galiziana che conservava ogni tipo di cibo, e ne fece il suo stile di vita: “Avevo sette anni e mi piazzò davanti a una stufa per aiutarla a cucinare. A casa non mancava mai un sottaceto o una salsiccia e si conservava qualsiasi cosa”, racconta.
Nei difficili anni della crisi economica, Nilda riuscì a coniugare il suo lavoro statale con quello di manicure, parrucchiera, rammendatrice e artigiana, tutte abilità ereditate dalla famiglia: “Si può fare tutto, non bisogna mai scoraggiarsi o permettere che qualcuno ti usi, ti umili o dica che non ce la puoi fare perché sei una donna”.
Nel 2003 trovò nuove motivazioni come insegnante nei corsi di Nutrizione e Conservazione Alimentare organizzati nella regione orientale dal Centro Cristiano de Servicio y Capacitación Bartolomé Lavastida di Santiago de Cuba: “Insegnavo ciò che avevo imparato da mia nonna, poi ho fatto un salto di qualità quando sono stata chiamata a far parte del progetto di José Lama Martínez (Pepe per tutti) e Vilda Figueroa, a Marianao, all’Avana”, spiega Nilda.
L’idea alla base del suo progetto è promuovere lo sviluppo delle comunità attraverso l’insegnamento dell’autonomia alimentare, dell’ecologia e dell’emancipazione delle popolazioni vulnerabili. Oggi, con il Centro di Formazione, Nilda diffonde una sana cultura nutrizionale attraverso i suoi seminari pratici, insegna e condivide con le persone delle diverse comunità i metodi di conservazione rurale mediante l’essiccazione solare, l’acidificazione, la disidratazione, la pastorizzazione anche con il miele, e anche la produzione del vino e dell’aceto. Saper conservare gli alimenti a Cuba è molto importante perché si può risparmiare comprando i prodotti nei momenti di picco stagionale che poi si consumano durante tutto l’anno, consentendo anche una dieta sempre variata.
Nel mezzo ettaro di terra dietro casa, Nilda pratica la permacoltura e produce gran parte di ciò che consuma la sua famiglia e i vicini del circondario: “Ho iniziato nel 2010, quando l’uragano Sandy si abbatté su Santiago provocando danni devastanti, temevamo che il cibo sarebbe rincarato. Due anni prima era mancato mio papà. Lui lavorava la terra, così cominciai a coltivarla secondo gli insegnamenti dell’agroecologia e della permacoltura che avevo appreso nei seminari del Centro Lavastida e seguendo i principi etici del rispetto nei confronti delle persone e dell’ambiente”.
Il sistema di permacoltura di Nilda è “al femminile” perché vi lavorano, oltre a lei, sua madre e sua figlia. Quando si rende necessario un lavoro più pesante come arare, diserbare o tagliare un albero, Nilda chiede l’aiuto dei vicini. In generale, l’eccedenza del raccolto è distribuito tra le persone della comunità, circa 10 famiglie che ne beneficiano direttamente, più 60 indirettamente perché Nilda fornisce ortaggi, conserve e condimenti a un vicino centro di lavoro. Fino ad ora non ha ancora deciso di avviare un vero e proprio commercio perché preferisce pensare a una specializzazione e concentrarsi sulle cose che le vengono meglio.
Con la stessa sicurezza che i suoi occhi trasmettono quando traccia teoremi alla lavagna, Nilda assicura di sentirsi realizzata perché ha scoperto una fortissima e personalissima relazione tra i suoi studi di matematica e il lavoro della terra: “La matematica è la cosa più precisa che ci sia. Tutto nella vita è calcolabile, e la matematica ti predispone all’apertura mentale e alle imprese della vita, ti aiuta a capire cosa puoi fare e cosa no. Mi sento realizzata perché vivo in armonia con l’ambiente. Alcuni pensano che io mi faccia aiutare perché non ho l’aria di una che lavora nei campi. Tutto richiede sacrificio e ho dovuto lottare anche contro i pregiudizi perché secondo tanti non posso essere contemporaneamente professoressa di matematica e agroecologa. La stessa cosa capita alle altre donne che fanno come me: nei seminari parlo anche di questi aspetti perché molte donne manifestano questo tipo di problemi. Io cerco di infondere loro fiducia, di spronarle ad andare avanti, acquisire conoscenza, fare come ho fatto io con mia figlia che è laureata in psicologia, e come voglio fare anche con mia nipote. Per lei vorrei un mondo pulito in cui si respiri aria pura. Vorrei che non avesse mai paura di nulla, che facesse le sue scelte senza condizionamenti, che lottasse per ottenere ciò che le piace, come ho fatto io”.
Obiettivo vita
Dai racconti di Leidy e Nilda si riceve una sensazione di coerenza e continuità tra le buone pratiche sociali diffuse tra la popolazione e l’azione degli enti territoriali di governo. Quanto meno, sembra di poter cogliere da parte di quest’ultimi una certa disponibilità all’ascolto. Se preferiamo un approccio meno enfatico e più disincantato, possiamo almeno dire che quel tremendo distacco che avvertiamo alle nostre latitudini tra cittadini e politica, qui pare essere meno evidente, e le azioni nei confronti della natura e dell’ambiente intraprese a livello governativo ne costituiscono una possibile riprova: Cuba dispone di un piano statale di grande portata e alta priorità per affrontare i cambiamenti climatici, un piano che assume tanta più importanza per le caratteristiche geografiche dell’arcipelago caraibico.
Identificato con il nome di Tarea Vida (Compito Vita, n.d.r.), il piano fu originariamente ispirato dal pensiero e dalla visione di Fidel Castro il quale, nel discorso pronunciato al Vertice della Terra di Rio de Janeiro il 12 giugno 2017, disse: “Una importante specie biologica è a rischio di scomparsa per la rapida e progressiva perdita delle sue condizioni di vita: l’uomo”.
Tarea Vida prevede un programma di investimenti progressivi in realizzazioni a breve termine entro il 2020, a medio termine entro il 2030, a lungo entro il 2050 e a lunghissimo entro il 2100. Nel disegno del progetto, il governo ha coinvolto tutto il potenziale scientifico e tecnologico della nazione per più di 25 anni. Tra gli studi preliminari avviati a suo tempo per la definizione delle linee guida del progetto c’è l’indagine del 1991 sui cambiamenti climatici condotta dall’Accademia delle Scienze di Cuba e successivamente approfondita, a partire dal 2004, dopo gli uragani Charley e Ivan che si abbatterono sull’occidente del Paese. Da allora, vari studi sui rischi del territorio, sulle vulnerabilità e sulle relative possibilità di attenuazione delle catastrofi hanno sviluppato la conoscenza della materia. Il cambiamento climatico ha aggravato e aggraverà i problemi ambientali, e costituiranno un fattore decisivo per uno sviluppo sostenibile.
Nel 2007, la ricerca scientifico-tecnologica è stata finalizzata a tracciare un macro-progetto con orizzonte temporale esteso al 2100 sulle vulnerabilità delle coste. Secondo diverse evidenze scientifiche, il clima a Cuba è sempre più caldo ed estremo, mentre aumenta anche la imprevedibilità dell’attività ciclonica. Le inondazioni costiere dovute agli uragani, ai fronti freddi e ad altri eventi meteorologici estremi rappresentano il pericolo maggiore per gli effetti che producono sul patrimonio naturale e su quello edificato.
Le spiagge sabbiose stanno regredendo alla media di 1,2 metri all’anno, mentre l’incursione marina nei bacini sotterranei e la salinizzazione dei suoli aumentano e confermano le precedenti previsioni. In linea con le proiezioni, l’elevazione del livello medio del mare potrà raggiungere fino a 27 centimetri nel 2050 e 85 nel 2100, causando la graduale perdita di superficie terrestre del Paese nelle basse zone costiere, nonché la salinizzazione delle falde acquifere sotterranee aperte al mare. Secondo le autorità, questi elementi devono essere portati a conoscenza della popolazione per aumentare la consapevolezza generale sui rischi ambientali e per sviluppare colture e comportamenti più adatti ai cambiamenti.
Tarea Vida prevede azioni per la protezione delle aree costiere vulnerabili, per garantire la disponibilità e l’uso efficiente dell’acqua e del suolo, per fermare il deterioramento delle barriere coralline, promuovere il ricorso alle energie rinnovabili e a criteri di efficienza energetica, di sicurezza alimentare e di salvaguardia della salute e del turismo. Tra le raccomandazioni c’è l’adeguamento delle attività agricole ai cambiamenti della conformazione del territorio e, ovviamente, il veto a costruire nuovi insediamenti costieri.
Anche il cambiamento in atto nel tipo, nella quantità e nella modalità delle precipitazioni delinea un nuovo problema. Attualmente, il livello di 143 bacini idrici è sotto la metà della loro capacità, e ad aggravare la situazione si aggiunge, sempre per le stesse cause, anche la maggiore dispersione nel sottosuolo. Per Cuba l’acqua ha un’importanza maggiore, se possibile, di quella di un “semplice” bene comune, e costituisce a tutti gli effetti un diritto umano irrinunciabile e non contrattabile. Non è quindi difficile immaginare quale risalto assegni il progetto Tarea Vida agli interventi mirati a migliorare la gestione delle risorse idriche e la loro protezione.
Conclusioni
Da questo racconto si può facilmente evincere che l’ecologia, l’attenzione all’ambiente e l’agricoltura biologica, a Cuba, risalgono a tempi non sospetti, e non sono mai stati un “vezzo”, una moda o un’opportunità di business. La sensibilità per la Natura, da sempre parte del DNA di un continente e delle sue popolazioni che non hanno mai smesso di respirare al ritmo di “Pacha Mama”, a Cuba forse più che altrove non è mai venuta meno: per necessità e per la straordinaria lungimiranza di un grande statista.
I progetti, le associazioni, le istituzioni e i provvedimenti governativi aiutano sicuramente la popolazione cubana, ma sono importantissimi anche per il futuro del nostro “Primo Mondo”, che invece di schernire e irridere farebbe meglio ad ascoltare con l’attenzione che meritano. L’esperienza di Cuba, con tutti gli eventuali perfezionamenti e adattamenti alle specifiche realtà, sarà molto utile per costruire un futuro solidale e a basso impatto energetico, anche alla luce delle “imperative” mode ecologiste.
In occasione della cerimonia di apertura dell’edizione del 2016 di Terra Madre, a Torino, Carlin Petrini affermò: “I contadini poveri del mondo producono alimenti della più alta qualità per realizzare i migliori piatti di gastronomia per i ricchi del mondo”. Il 31 maggio 2019, in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa dell’Università del Gusto di Pollenzo a Vilda Figueroa (la ricercatrice dell’Avana sulle pratiche di conservazione naturale degli alimenti), sempre Carlin Petrini ribadì: “Le università del mondo scoprono solo ora l’agricoltura biologica e naturale, ma nessuno dice dov’è nata. E’ nata a Cuba, durante il periodo especial”.
Mangiare bene, sano, naturale e sostenibile, dunque, sembrerebbe non essere solo un mero fatto di costume o, ben che vada, di educazione. Tantomeno dovrebbe essere ridotto a una moda. Piuttosto, sembrerebbe un’ennesima riproposizione della contrapposizione tra un gruppo più o meno grande di privilegiati e un mondo di sfruttati. Potrà sembrare banale, eppure non è così scontato: si tratta di diritti umani. Soltanto dieci fa, in Argentina, un’associazione di professionisti della salute si rifiutò di continuare a considerare la denutrizione infantile che aveva travolto 23 mila bambini della provincia di Salta come una malattia da affrontare con terapie mediche, e dichiarò che l’unica terapia valida non potesse che essere di tipo politico.