L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha partecipato ieri giovedì (18/11), a Madrid, al seminario “Cooperazione multilaterale e ripresa regionale dopo il Covid-19”, promosso dal CAF (Common Action Forum), una fondazione internazionale senza scopo di lucro con sede a Madrid nella Casa de America.
Di seguito l’intervento di Lula al seminario:
Se l’umanità avesse diritto a vedere esaudito un solo desiderio – dopo 1 anno e 8 mesi di confinamento, a causa di un virus che ha causato la morte di oltre 5 milioni di persone – è molto probabile che sarebbe stato il seguente:
“Vogliamo che tutto torni alla normalità”.
Un desiderio più che legittimo. Dopotutto, siamo stanchi di vivere così a lungo isolati gli uni dagli altri. Essendo costretti, soprattutto all’inizio della pandemia, a mantenere le distanze anche dai nostri più cari, temendo che un semplice abbraccio significhi il contagio di questo virus mortale nel nostro corpo, o in quello di una persona cara.
E il fatto è che noi umani siamo fatti per le strette di mano, gli abbracci, i baci, l’amore, anche se c’è così tanto odio nel mondo.
Soprattutto, siamo stanchi di piangere i nostri morti: madri, padri, fratelli, figli, amici, amori. Persone che se ne sono andate, lasciando un vuoto enorme nella vita di chi è rimasto.
Quindi vogliamo assistere al giorno in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarerà il mondo libero dalla pandemia. E che finalmente tutto torni alla normalità.
Ma la domanda che è veramente necessario porsi è: “A quale normalità vuole tornare l’umanità?”
La verità è che molto prima del primo caso di Covid-19, il mondo era già malato, vittima di un virus altrettanto mortale chiamato disuguaglianza.
La disuguaglianza è alla base di innumerevoli morti che accadono in tutto il mondo. Anche quando il certificato di morte informa il Covid-19 come causa della morte.
La disuguaglianza uccide ogni giorno.
I sondaggi effettuati prima dell’inizio della pandemia mostravano che l’1% più ricco del mondo deteneva più del doppio della ricchezza dei quasi 7 miliardi di abitanti di questo pianeta. E che i 22 uomini più ricchi del mondo hanno accumulato più soldi di tutte le donne in Africa.
Da allora, la disuguaglianza è cresciuta. Nel bel mezzo della pandemia, i miliardari si sono arricchiti di miliardi di dollari. Allo stesso tempo, i poveri hanno raggiunto un livello di povertà così devastante che impiegheranno un decennio e mezzo per recuperare ciò che hanno perso e tornare alla loro povertà iniziale.
Questa non può essere la normalità a cui l’umanità vuole tornare.
Non possiamo accettare come normale che un gruppo selezionato di uomini bianchi e ricchi faccia turismo spaziale, mentre qui sulla Terra milioni di poveri, principalmente donne e neri, continuano a morire di fame.
Che centinaia di milioni di persone non abbiano accesso ad acqua pulita, elettricità, alloggi dignitsi, sanità e istruzione.
Non possiamo accettare come normale che le persone siano costrette a lavorare 12, 14, 16 ore al giorno in cambio di salari indegni. Senza ferie remunerate, senza tempo per assistere alla crescita dei propri figli, senza nessun diritto o garanzia, per arricchire un capo invisibile: i proprietari dell’applicazione di cellulare.
Non possiamo normalizzare lo sfruttamento della sofferenza umana.
Miei amici e mie amiche,
all’inizio della pandemia, quando i morti cominciarono ad accumularsi sia nei paesi poveri che in quelli ricchi, si diceva che l’umanità fosse tutta sulla stessa barca. Il tempo ha fatto in modo di dimostrare che questo non era vero.
I miliardari hanno acquistato yacht ancora più grandi, con più spazio per far atterrare i loro elicotteri. Nel frattempo, i più poveri hanno continuato a essere costretti ad accalcarsi sui mezzi pubblici affollati, esposti al virus. Questo perché la maggior parte dei datori di lavoro ha deciso che era più importante preservare i profitti che salvare la vita di questi lavoratori.
La disuguaglianza quindi non si è fermata nemmeno di fronte alla pandemia più grave degli ultimi 100 anni.
A maggio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito tre obiettivi per la vaccinazione nel mondo: il 10% della popolazione di ogni Paese dovrebbe essere vaccinato entro la fine di settembre. Il 40% entro dicembre. E il 70% entro la metà del 2022.
Tuttavia, quando è arrivato settembre, più di 50 paesi non avevano ancora raggiunto l’obiettivo iniziale, che era piuttosto ridotto. E solo il 2% della popolazione nelle nazioni a basso reddito aveva ricevuto almeno una dose del vaccino.
Viviamo in una vero e proprio “apartheid vaccinale”, come lo definisce il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom.
Mentre nei paesi ricchi c’è un’estrema destra e dei negazionisti che si rifiutano di prendere il vaccino, i paesi più poveri lottano per avere accesso alle vaccinazioni. In Africa il 10% della sua popolazione non è vaccinato. In paesi come Benin, Repubblica Democratica del Congo, Ciad, Guinea-Bissau ed Etiopia, il tasso di vaccinazione non ha raggiunto l’1%.
Alla vigilia del Vertice Mondiale della Salute del G20, tenutosi a maggio di quest’anno, l’Alleanza Vaccino per Tutti dell’ONU ha rivelato che l’immunizzazione contro il Covid-19 ha creato 9 nuovi miliardari. Sono i dirigenti e i grandi azionisti dei laboratori farmaceutici, che si sono arricchiti grazie ai straripanti profitti ottenuti dal monopolio dei vaccini.
La ricchezza combinata di questi nuovi miliardari ammonta a 19,3 miliardi di dollari, che potrebbero essere investiti nell’immunizzazione della popolazione dei paesi più poveri.
È importante ricordare che i vaccini che hanno salvato e continuano a salvare milioni di vite sono stati sviluppati con un investimento di risorse pubbliche – e dovrebbero quindi essere considerati un bene dell’umanità. Ma violare i brevetti – per democratizzare l’accesso ai vaccini – rimane un tabù anche in tempi di emergenza globale.
Ricostruire il mondo post-covid significa quindi affermare che la vita è il bene più prezioso che ci sia, e che la proprietà intellettuale, che arricchisce una minoranza, non può essere al di sopra della sopravvivenza di tutta l’umanità.
È necessario dire al mondo che non accettiamo più questa normalità perversa.
Normalmente, tutti gli esseri umani hanno diritto ad almeno tre pasti al giorno. Ad avere un posto di lavoro di qualità, con salario dignitoso e garanzia dei diritti dei lavoratori. Ad avere accesso alla salute e all’istruzione. Ad avere il diritto di essere felici.
Miei amici e mie amiche,
oltre agli effetti devastanti sull’organismo delle persone contagiate, il nuovo coronavirus ha aperto il mondo ad altri gravi effetti collaterali: il rifiuto di alcuni governi neoliberisti di adottare il lockdown, anteponendo ancora una volta il profitto alla vita; la negazione della scienza e la diffusione di fake news contro il vaccino. E l’oscena crescita della disuguaglianza.
La verità è che ricostruire il mondo implica necessariamente curare il Covid-19, ma deve andare molto oltre. L’umanità ha bisogno di essere curata anche dal virus della disuguaglianza.
È necessaria e urgente una profonda ricostruzione del mondo, sui fondamenti dell’uguaglianza, della fraternità, dell’umanesimo, dei valori democratici e della giustizia sociale.
Perché, anche se sopravviveranno al Covid-19, 800 milioni di uomini, donne e bambini non potranno sfuggire a un altro terribile flagello: la fame.
E la fame si può curare. Posso dire ciò perché in soli 13 anni di governo del Partito dei Lavoratori in Brasile, siamo stati in grado di rimuovere il paese dalla Mappa della Fame delle Nazioni Unite per la prima volta nella storia.
Non esiste un vaccino contro la fame, e non è stato necessario inventarlo per liberare il Brasile da questo flagello. È bastata la volontà politica per attuare misure tanto semplici quanto rivoluzionarie, come il Programma Bolsa Família, considerato il più grande programma di inclusione sociale al mondo.
Ci è bastato avere il coraggio di includere i poveri nel bilancio. Ci è bastato smettere di considerare gli esclusi come una spesa e iniziare a trattarli come un investimento. Perché ogni dollaro in mano ai poveri, oltre ad alleviare la loro povertà, significa un dollaro in più che fa girare la ruota dell’economia, a vantaggio di tutti.
Il Bolsa Família non ha fatto da solo la rivoluzione pacifica che ha cambiato il Brasile. Abbiamo trasformato lo Stato in un potente ed efficiente induttore dell’economia, e siamo stati in grado di generare più di 20 milioni di posti di lavoro, con tutti i diritti del lavoro garantiti.
Abbiamo valorizzato il salario minimo come mai prima d’ora: esso è cresciuto del 74% al di sopra dell’inflazione. Abbiamo smesso di investire esclusivamente nell’agrobusiness e abbiamo anche investito molto nell’agricoltura familiare, responsabile della produzione fino al 70% del cibo che arriva sulle tavole dei brasiliani.
Abbiamo fatto di più: abbiamo creato il PAA [Programma di Acquisizione di Alimenti da parte dello Stato. NdT], un coraggioso programma che permette al governo di acquistare il cibo prodotto dai piccoli agricoltori per le mense scolastiche delle scuole pubbliche e per dare assistenza ai settori più vulnerabili della società.
A metà del XXI secolo – come accade ancora in diversi paesi – avevamo in Brasile un enorme contingente di persone senza elettricità, che vivevano a lume di candela e senza acqua potabile.
Siamo stati in grado di risolvere questi problemi con due programmi innovativi: “Luz para Todos” [Luce per Tutti. NdT], che ha portato l’elettricità a quasi 16 milioni di brasiliani, e “Água para Todos” [Acqua per Tutti. NdT], che ha permesso di costruire più di 1,5 milioni di cisterne domiciliari per immagazzinare l’acqua piovana nella regione semiarida del nord-est.
Miei amici e mie amiche,
per più di 500 anni, la fame è stata vista in Brasile come un problema senza soluzione, proprio come continua a essere visto in tutto il mondo. Un disastro naturale e inevitabile, come la siccità e le inondazioni.
Oggi sappiamo che siccità e inondazioni sono associate all’azione umana e che possono essere evitate.
Ma la fame rimane nell’immaginario dell’umanità come una tragedia umanitaria con cui dovremo convivere per sempre. Come se nulla si potesse fare per prevenire la sofferenza di centinaia di milioni di uomini, donne e bambini.
Questo non è vero e lo abbiamo dimostrato in Brasile.
Con volontà politica, abbiamo sollevato 36 milioni di persone dalla povertà estrema. Purtroppo, dopo il colpo di stato del 2016 contro la presidente Dilma Rousseff e l’arrivo dell’estrema destra al potere, il Brasile è tornato nella Mappa della Fame.
Anche il Programma Bolsa Família, un’invenzione brasiliana replicata in diversi altri paesi, è stata appena abolita dall’attuale governo.
Oggi più di 116 milioni di brasiliani vivono in una situazione di insicurezza alimentare, che va da moderata a molto grave. Persone che possono contare su di un solo pasto al giorno, o che stanno un giorno intero senza mangiare.
Il Brasile è tornato alla triste normalità di cui si era finalmente liberato, dopo 500 anni di storia.
Miei amici e mie amiche,
la solidarietà internazionale, che invia in fretta e furia tonnellate e tonnellate di cibo nei paesi devastati dalla fame, sarà sempre benvenuta. Ma, per quanto gradita e indispensabile, la solidarietà internazionale può offrire solo un sollievo temporaneo. Perché la fame tornerà non appena gireremo le spalle. E continuerà a tornare, finché non prenderemo la decisione politica di affrontare e sradicare la sua radice, che sta nella disuguaglianza.
Non parlo solo di disuguaglianza a causa di ciò che ho letto nei libri, o di ciò che ho visto e sentito nei miei vagabondaggi negli angoli più poveri del Brasile, dell’America Latina e dell’Africa.
Conosco il dolore che la fame provoca negli esseri umani, perché l’ho vissuto nella pelle. Sono nato in una delle regioni più povere del Brasile, figlio di una madre povera, analfabeta e in difficoltà, che ha cresciuto da sola i suoi otto figli. Ho affrontato la fame, il lavoro minorile, la disoccupazione, le ingiustizie.
Sono cresciuto con la certezza che questo non era normale, che il mondo non potesse essere fatto per il piacere di pochi e la sofferenza di molti. Mi sono unito alla lotta sindacale, ho fondato un partito politico, ho perso quattro elezioni prima di essere scelto due volte dal popolo per governare il Brasile.
Ho dedicato ogni giorno dei miei otto anni in carica a liberare il Brasile dalla disuguaglianza. Sono sicuro che questa lotta non è stata vana e che molto presto torneremo a fare del Brasile un esempio al mondo che è possibile superare la povertà estrema e la fame in breve tempo.
Voglio concludere dicendo che non siamo soli. Siamo tanti. Molti di noi sono qui riuniti in quest’Aula proprio ora, alla ricerca di soluzioni per ricostruire il pianeta post-Covid-19.
Ricostruire il pianeta significa costruire insieme una nuova normalità.
Dobbiamo trovare alternative per la creazione di posti di lavoro in mezzo alla transizione causata dalla digitalizzazione del lavoro, che ha generato disoccupazione di massa, perdita dei diritti del lavoro, impoverimento e esaurimento fisico e mentale.
Questa sfida deve essere affrontata da tutti: governi, sindacati, università. In modo da poter generare nuovamente posti di lavoro in quantità sufficiente, con salari dignitosi e garanzia dei diritti dei lavoratori. In modo che il lavoratore sia trattato come una persona, non come un algoritmo usa e getta.
Dobbiamo cambiare il nostro rapporto con l’ambiente e proteggere la natura. Prendersi cura del nostro pianeta deve essere l’impegno di tutti i governi, soprattutto dei paesi ricchi, che si sono industrializzati da più tempo. Ma molti di loro si rifiutano di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas inquinanti, diventando complici di una tragedia ambientale dalla quale potrebbe non esserci ritorno.
Dobbiamo guidare la transizione energetica ed ecologica, sviluppare nuove forme di produzione e consumo ambientalmente sostenibili. E gli investimenti in questa direzione possono essere opportunità per nuovi posti di lavoro, nuove tecnologie, con più sviluppo scientifico e una spinta all’innovazione.
I paesi ricchi hanno investito quasi 2 trilioni di dollari per salvare il sistema finanziario durante la crisi del 2008. Gli Stati Uniti hanno speso 8 trilioni di dollari nelle guerre in Medio Oriente.
In altre parole, le risorse finanziarie ci sono. Sfortunatamente, non vediamo la stessa generosità quando si tratta di salvare il pianeta dal riscaldamento globale, combattere la crescente disuguaglianza ed eliminare la miseria nel mondo.
Queste grandi sfide non saranno risolte dal sistema creato dopo la seconda guerra mondiale. Come è successo dopo altre grandi crisi, è necessario ricostruire le istituzioni internazionali su nuove basi.
È urgente convocare una conferenza mondiale, con la rappresentanza di tutti gli Stati, e la partecipazione della società civile, per definire una nuova governance globale, equa e rappresentativa.
Miei amici e mie amiche,
facciamo parte di generazioni e generazioni di giovani che hanno coltivato il sogno di cambiare il mondo. Ma cambiare il mondo non può essere solo un sogno giovanile che andiamo dimenticando con il passare del tempo e l’arrivo della maturità.
Cambiare il mondo deve essere sempre il nostro principale obiettivo, la ragione stessa della nostra esistenza, lanciandoci in una lotta ardua e permanente, dalla quale non potremo mai riposarci.
Il nostro più grande incoraggiamento è la certezza che costruire un altro mondo è perfettamente possibile, perché siamo già stati in grado di costruirlo. Un mondo più sostenibile, meno diseguale, più giusto, più solidale e più felice.
Questa è la nuova normalità che vogliamo. E che costruiremo insieme.
Grazie mille.
Luiz Inácio Lula da Silva
Fonte: https://ptnacamara.org.br/site/leia-discurso-de-lula-em-seminario-na-espanha/
Traduzione dal portoghese: Alessandro Vigilante