La Stampa e la prima pagina della vergogna. La risposta del Prof. D’Orsi agli insulti del direttore de “La Stampa”, Giannini e a Mattia Feltri

La Stampa del 16 marzo 2025

La risposta del professor Angelo d’Orsi agli insulti del direttore de “La Stampa”:

Allora, dopo Mattia Feltri, scende in campo, con tutta la sua autorevolezza, Massimo Giannini, direttore de “La Stampa”. Si potrebbe pensare: ah, finalmente! Ha risposto alla lettera inviatagli da Angelo d’Orsi! E invece no, il dottor Giannini (uno straccetto di laurea non si nega a nessuno), replica a suo modo con un tweet:“Vedo che miserabili lacchè di Santa Madre Russia (sedicenti storici, poveri webeti e pseudo-giornalisti) continuano ad infangare La Stampa”.In altri tempi si sarebbe ricorso al duello. Oggi si ricorre al tribunale. Ma, insisto, perchè perdere tempo? perchè intasare le aule di giustizia, già sovraccariche? perchè infastidire i magistrati, già oberati di lavoro (grazie ai tagli governativi)?Mi basta segnalare l’eleganza del dottor Giannini, e la sua correttezza: non ha risposto alla mia lettera, non è entrato nel merito delle contestazioni, non soltanto mie, per l’incredibile mistificazione compiuta dal giornale da lui diretto il 16 marzo, con la famigerata copertina sulla “Carneficina” (che ripubblico a scorno del giornale e del suo direttore); ma dopo giorni, finalmente, dà un segno di vita, e come? Ricorrendo all’insulto.Io non ho bisogno di mostrare a lui le mie credenziali scientifiche, professionali e intellettuali. Se vuole, si informi.Lo assicuro però che conserverò tra le medaglie al merito della mia carriera queste preziose definizioni (sedicente storico, povero webete e pseudogiornalista, oltre che, nauturalmente, “miserabile lacchè di Santa Madre Russia”). Sì, perchè gli insulti di siffatti personaggi costituiscono per me altrettante conferme che sono dalla parte giusta della barricata.Certo, rimane l’amarezza di constatare il livello di barbarie in cui il giornalismo è caduto in questo Paese. E rimane lo sconcerto davanti al precipitare verso il pensiero unico (se pensiero si può chiamare). Questa guerra, come tutte le guerre, fa venire a galla tutto il peggio, dalla menzogna alla violenza, non solo fisica, ma verbale. In particolare questa guerra sta mostrando un vero tracollo dell’intelligenza, e la tendenza paurosa verso un “Tribunale della Verità” che pretende di dirti cosa pensare, cosa dire, cosa scrivere: una tendenza che a quanto pare, sta contaminando anche quellle pochissime isole in cui era consentito respirare.Saliremo sugli alberi (come il Barone Rampante di Italo Calvino) per guardare dall’alto, con disgusto, questo mondo non solo terribile, ma immerso nella stoltezza e nell’inganno?O ci toccherà fare una diversa salita? Magari in montagna come i nostri Partigiani, per dar vita a una nuova Resistenza?

Sicché il buon Mattia Feltri mi fa sapere di attendere una mia risposta alla sua aggressione giornalistica, in cui mi accusa addirittura di “falsificazione”. Ma qui si tratta di usare o non voler usare l’intelligenza. Riepilogo i fatti: io invio una lettera, il giorno 16 marzo, al direttore della “Stampa”, denunciando la volgare mistificazione prodotta con la prima pagina di quel giorno, e invitandolo quanto meno a una risposta che naturalmente non c’è stata. Nella mia lettera, e in successivi miei interventi osservavo che la foto usata scorrettamente (oltre che indebitamente, senza neppure fornire i “credits” obbligatori, con indicazione dell’autore dello scatto, dell’agenzia di riferimento, e ovviamente del luogo e della data dello scatto), si collocava, a mo’ di ciliegia sulla torta, in un contesto di titoli e sommarietti di articoli (con rinvio alle pagine interne) tutti antirussi, e violentemente antirussi, unilateralmente antirussi, con un delirante Scurati che hitlerizzava Putin. Al fondo pagina, nella sua rubrica “Buongiorno”, Mattia Feltri si concedeva uno sfottò diretto a Luciano Canfora, classificato, implicitamente, tra i “putiniani” e i “pacifisti da salotto” (del resto il titolo era assai chiaro: “Canfora da salotto”). Certo, con un espediente retorico assai facile, Feltri jr, si sperticava in lodi di Canfora, dicendo che certo non lo si può insultare come si può fare con un qualunque “Vito Petrocelli”. E che per parlare bene di Stalin ci vuole la sapienza argomentativa di un Canfora (qui era di nuovo un implicito riferimento a Putin come nuovo Stalin, naturalmente). E che lui, Feltri (che si dichiarava “zelenskiano” e si confessava “guerrafondaio da salotto”) in salotto ci stava benissimo “con i libri di Canfora”. Ebbene tutto il pezzo era un tentativo di sbeffeggiare Canfora, pericoloso nemico, pericoloso proprio per le sue capacità e la sua scienza, riducendolo a un simpatico signore di cui si possono leggere e magari apprezzare i libri, basta non dargli retta sul piano politico. Questo intendevo quando scrivevo che il pezzo di Feltri ” vorrebbe esser sarcastico su Luciano Canfora, ma che fa ridere solo chi l’ha scritto”. Mentre il suo capo Giannini tace, a parte la figuraccia a “Otto e mezzo” in cui ha sostenuto che al suo giornale interessa “far vedere la guerra”, non indagare sulle responsabilità delle “carneficine” Feltri mi attacca su “Huffington Post”,. ricorrendo allo stesso schema retorico usato con Canfora: lodi iniziali, tutte sottilmente ironiche, per poi arrivare, come dicevo, ad accusarmi niente meno che di “falsificazione”. Dove sarebbe la falsificazione? Ma Feltri conosce il significato e il peso delle parole? “Le parole sono importanti”, tuonava Nanni Moretti, in una indimenticabile scena di “Palombella rossa”… E un giornalista dovrebbe essere particolarmente attento sia al contenuto (il significato) di ciò che scrive, sia al contenitore (il “significante”, per i semiologi, ossia la forma). Ma evidentemente un giornale che opera una falsificazione clamorosa (falsificazione in senso proprio, documentata) come quella della copertina del 16 marzo, non è attento a tale problematica.Un amico avvocato mi suggerisce di querelare Feltri, data la gravità dell’accusa, ma come ho già annunciato, non posso permettermi di sprecare il mio tempo (poco, considerando l’età). Osservo che nella mia lettera a Giannini, che ho diffuso su questa pagina e sul mio profilo privato (immediatamente ripresa da moltissime testate anche straniere) supponendo che il direttore della “Stampa” non avrebbe risposto, si ponevano questioni generali di gravissimo peso.Feltri, nel suo narcisismo, non ha colto che le ultime due righe, in cui veniva citato. Pure questo non è un bel segno deontologico, direi. Perciò, gentile Feltri si goda pure il trionfo del suo fasullo smascheramento, mentre io continuo nel mio lavoro autentico di denunciare (intellettualmente, non per via giudiziaria) i bugiardi e i mistificatori. A cominciare da quelli annidati nel suo giornale.

Il Prof. Angelo D’Orsi
Mattia Feltri
Massimo Giannini

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