“Non estradate Assange”. La relatrice Onu è con lui. Entro mercoledì l’Alta Corte del Regno Unito deciderà sulla richiesta degli Usa, dove rischia 175 anni.

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Può essere l’ultima udienza sul suolo britannico. Domani e mercoledì la High Court del Regno Unito sarà chiamata a decidere sull’appello del fondatore di WikiLeaks contro l’estradizione negli Stati Uniti, dove rischia 175 anni in una prigione di massima sicurezza. La High Court si è già pronunciata due volte a favore dell’estradizione e, se anche stavolta dovesse confermarla, ad Assange rimarrebbe solo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sempre che il Regno Unito non lo estradi negli Usa prima che la Corte possa emettere le sue misure protettive.

Nel 2019, l’amministrazione Trump ha incriminato il fondatore di WikiLeaks con una legge del 1917, l’Espionage Act, per aver ricevuto e pubblicato 700 mila documenti segreti del governo americano, che hanno permesso di rivelare, tra le altre cose, crimini di guerra e torture, dall’Afghanistan all’Iraq a Guantanamo. È la prima volta nella storia degli Stati Uniti che un giornalista viene mandato a processo con l’Espionage Act, che non fa distinzioni tra i traditori, che passano documenti segreti al nemico, e i giornalisti che li rendono pubblici per informare la popolazione di gravi crimini di Stato, che l’opinione pubblica ha il diritto di conoscere.

In primo grado, l’estradizione era stata negata dalla giudice inglese Vanessa Baraitser per il rischio che Julian Assange commetta un suicidio, viste le sue condizioni fisiche e mentali e viste le condizioni di detenzione, che lo attendono sia prima sia dopo il processo. In appello, per ottenere l’estradizione, gli Stati Uniti hanno fornito “garanzie diplomatiche” che non verrà incarcerato nella prigione più estrema, l’ADX Florence, che a detta di un suo ex direttore, “è molto peggio della morte” e non verrà sottoposto al regime di detenzione più duro: il SAM, peggiore del 41 bis italiano. Nel dicembre del 2021, quando si è pronunciata per la prima volta, la High Court ha accettato le rassicurazioni americane, affermando che “non ci sono basi per assumere che gli Stati Uniti non abbiano fornito le garanzie in buona fede”. A nulla sono serviti gli argomenti della difesa, come le dichiarazioni di testimoni protetti e le inchieste giornalistiche, che hanno fatto emergere che, nel 2017, la Cia – allora guidata da Mike Pompeo – avesse pianificato di avvelenare o rapire Julian Assange. Al momento questi fatti sono oggetto di un’indagine penale dell’autorità giudiziaria spagnola, condotta dal giudice Santiago Pedraz dell’Audiencia Nacional, e di una causa civile presso la Southern District of New York.

Tutte le più grandi organizzazioni per la difesa dei diritti umani e della libertà di stampa, da Amnesty International a Reporters Sans Frontières, chiedono di non estradare Assange e di liberarlo. Amnesty ritiene le garanzie diplomatiche “intrinsecamente indaffidabili”. La scorsa settimana la Relatrice Speciale dell’Onu contro la Tortura, Alice Jill Edwards, ha preso posizione, dopo che anche il precedente Relatore Speciale, Nils Melzer, l’aveva presa, sulla base di un’approfondita indagine che aveva condotto sul caso.

Parlando con Il Fatto Quotidiano, Alice Jill Edwards dichiara: “Credo che i governi abbiano il diritto di mantenere un certo livello di confidenzialità, sia per i cablo diplomatici, sia per l’intelligence e i militari”, tuttavia “è importante che quella (confidenzialità, nda) non si estenda ai crimini di guerra, crimini contro l’umanità o violazioni di massa dei diritti umani: sarebbe coprire quei crimini. Ci sono dei limiti: anche se uno ha un approccio più conservatore alla libertà di stampa, come forse io ho, tuttavia devono esserci delle protezioni per chi rivela violazioni”. Edwards dichiara al nostro giornale anche il suo scetticismo sulle “garanzie diplomatiche”: “Sono nate originariamente per i casi di pena di morte, in cui gli Stati Uniti promettevano di non condannare qualcuno alla pena capitale, se estradato. Ovviamente è facile verificare se qualcuno viene condannato a morte”, spiega, mentre “monitorare il rispetto di altri tipi di garanzie è complicato”. Quindi la sua richiesta al governo inglese è di non estradarlo assolutamente? “Sì”, risponde la Relatrice Onu.

Altrettanto netta la posizione di Pen International, l’associazione internazionale che protegge scrittori a rischio. “Le autorità americane devono ritirare le accuse contro Assange e la loro richiesta di estradizione”, dichiara al Fatto Sabrina Tucci, che coordina le campagne di Pen International, aggiungendo: “Le leggi sullo spionaggio non devono essere usate contro i giornalisti o gli editori per avere rivelato informazioni nel pubblico interesse”.

Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it

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