
Questa è la Rivoluzione Cubana. Questo è il socialismo cubano.
35 anni fa, Cuba, adempiendo al proprio dovere internazionalista, fu l’unica nazione a rispondere all’appello urgente dell’Unione Sovietica dopo il disastro di Chernobyl. Nonostante l’URSS avesse abbandonato Cuba al suo destino sotto la guida di Mikhail Gorbaciov, l’isola rispose all’appello senza chiedere nulla in cambio: tutte le spese, tranne il trasporto, furono coperte dal governo cubano. Nel marzo del 1990, arrivò a Cuba il primo gruppo di bambini e bambine colpiti dall’esplosione del reattore nucleare. In totale, furono accolti 25.000 bambini provenienti da Russia, Ucraina e Bielorussia, e in alcuni casi anche genitori e familiari ricevettero assistenza. Tutto il paese si mobilitò per affrontare questa grande sfida collettiva: Il Ministero delle Comunicazioni garantì le comunicazioni telefoniche tra i bambini e i loro paesi. Il Ministero dei Trasporti organizzò il trasferimento dei pazienti verso ospedali e centri medici, oltre alle varie escursioni. Il Ministero della Cultura promosse attività culturali a Tarará (la località che ospitava i bambini) e in altre zone del paese. Questo programma, che si concluse nel 2011, è considerato il più grande sforzo sanitario internazionale mai organizzato da un paese in risposta a un disastro avvenuto al di fuori del proprio territorio. Attualmente, l’Ucraina, coinvolta in un conflitto armato con la Russia, si è astenuta dal 2019 alle Nazioni Unite nelle votazioni contro il blocco verso Cuba, e nel 2024 si è addirittura assentata durante la votazione.
DI SEGUITO LA TESTIMONIANZA DI ROBERTO LIVI
I bambini accolti e curati a Cuba resta uno degli episodi meno conosciuti, ma più solidali e commoventi, seguiti al disastro della centrale nucleare ucraina: tra il 1990 e il 2011 negli ospedali pediatrici di Cuba furono trattati – quasi totalmente gratis – 25.000 ragazzi vittime delle radiazioni in Ucraina, Russia e Bielorussia, la maggior parte affetti da cancro, deformazioni, atrofia muscolare, problemi dermatologici e allo stomaco. In gran parte con alti livelli di stress postraumatico per aver sperimentato gli orrori di un’aggressione nucleare.
Nel febbraio 1990 il Comitato centrale del Komsomol (Unione giovanile comunista) dell’Ucraina presentò una richiesta internazionale di assistenza per i minori vittime di Chernobyl. Tre giorni dopo parte la risposta di Cuba: tre medici specialisti vengono inviati a ispezionare i centri più contaminati.
GIÀ IL 29 MARZO i primi due aerei con 139 bambini malati di leucemia atterrano all’Avana (uno aveva cambiato la sua solita rotta da Roma all’Avana per andare a Kiev). Dopo aver accolto il primo gruppo di minori, commosso per la tragedia, Fidel Castro annunciò che Cuba avrebbe ospitato e curato 10.000 bambini sovietici. I dirigenti ucraini credettero che il traduttore si fosse sbagliato. L’unico errore fu in eccesso.
Resosi conto che negli ospedali pediatrici dell’Avana erano insufficienti, Fidel diede vita una un nuovo progetto: il villaggio turistico di Tararà – 11 km quadrati con 850 metri di spiaggia, circa 15 km dalla capitale- costruito negli anni della dittatura di Batista fu ristrutturato da brigate di lavoratori volontari per accogliere le giovani vittime. «Camion con lavoratori, giovani, uomini e donne sono andati direttamente a Tarará da diversi comuni Migliaia di persone che dovevano essere coordinate e organizzate ogni giorno», ha descritto il dott. Julio Medina in un’intervista a the Militant.
AI SOVIETICI FU CHIESTO solo di pagare il trasporto dei bambini e del personale di supporto.
Questa politica non è cambiata dopo il crollo dell’Urss (1991), quando l’isola stava vivendo una drammatica crisi economica durante il cosiddetto «periodo speciale in tempo di pace». Posso fornire una testimonianza diretta dell’emozione di vedere sulla spiaggia di Tararà uno spettacolo del tutto inusuale: non nuclei di giovani di tutti i colori e in generale esuberanti ma ragazzini pallidi che agitavano braccia sottili come note di violino, ma con grandi sorrisi, immersi nelle tiepide acque o distesi nella spiaggia. Nel gennaio del 1995 ero di vacanza a Cuba per «ammorbidire» l’inverno di Mosca, dove ero corrispondente.
Una mia amica ebbe un improvviso malore in una spiaggia dell’Avana del Este e fu portata a Tararà. Quando entrai nella clinica per parlare con la dottoressa che assisteva la mia amica si avvicinò una bambina biondissima e chiese in russo a un’infermiera dove poteva trovare dei colori.
Di fronte alla perplessità dell’interrogata le tradussi la richiesta, informandola che ero un giornalista con sede a Mosca.
LA DOTTORESSA DECISE di portarmi della sala della clinica dove un gruppo di ragazzini stavano giocando e disegnando accompagnati da uno psicologo ucraino e una traduttrice cubana. Erano tra i più fortunati. Ma in una stanza mi fecero parlare con Yuriy, dodicenne leucemico senza speranza di guarigione. Era interessato alla storia di Roma e mi mostrò un suo disegno del Colosseo.
Come ha rivelato López Briel nel documentario Chernóbyl en nosotros l’isola ha speso fino al 2009 (anno di presentazione del film) 350 milioni di dollari solo per le medicine somministrati ai bambini. Ma Trump tutto questo non lo sa.
