José “Pepe” Mujica, l’ultimo guerriero della luce – di Elena Ferro**

José Pepe Mujica

Voglio morire essendo schiavo dei miei principi, non degli uomini
Emiliano Zapata

Nei giorni scorsi è trapelata una notizia, falsa, relativa alla presunta morte di José “Pepe” Mujica, 89 anni. Una delle tante notizie che da adesso in poi, dopo la decisione dei grandi del digital power di rinunciare ai controlli anti fake, vedremo circolare molto più di prima, con inevitabili conseguenze.

Nel caso di José “Pepe” Mujica, una delle figure più straordinarie del nostro tempo, questa notizia ha avuto perlomeno il merito di permettermi di soffermarmi su una figura notevole del nostro tempo, fonte per me di grande ispirazione.

Sgomberiamo il campo, “Pepe” è ancora vivo. La sua malattia, un terribile cancro all’esofago, si è aggravata, colpendo l’intero suo corpo. José ha deciso di rinunciare alle cure oncologiche invasive e di vivere gli ultimi giorni della sua vita come tutti gli altri: semplicemente impegnato in cose più grandi di lui, ma sereno.

Pepe Mujica è l’ultimo guerriero della luce. Qui provo a raccontarvi il perché.

José “Pepe” Mujica, l’ultimo guerriero della luce

La storia di “Pepe” Mujica è difficile da raccontare per intero, per quanto è vasta, controversa e comunque significativa.

E’ la storia di un guerrigliero del Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros, che dopo anni di carcerazione e torture ha scelto la lotta politica democratica ed è diventato Presidente dell’Uruguay, dal 2010 al 2015.

Un uomo semplice, dotato di una straordinaria intelligenza emotiva e capacità politica, radicato nei valori della terra, che ha sempre amato essere “comune”, appassionato, Incorruttibile, con la I maiuscola.

Una personalità d’altri tempi che mi piace definire come ultimo guerriero della luce, almeno in quella vasta area di impegno sociale che è la politica.

Mujica, guerriero della luce

Paolo Coelho ha dato al termine Guerriero della Luce un significato preciso nel suo libro, Manuale del Guerriero della luce che ho recensito a questo link, edito da Bompiani.

Chi è per Coelho il guerriero della luce?

Il guerriero della luce è colui che sa comprendere il miracolo della vita e lottare fino alla fine per qualcosa in cui crede.

L’impegno politico di José Mujica

José Mujica ha avanzato una critica dura, concreta, quasi istintiva del capitalismo moderno. Un Che Guevara, come ha osservato Omero Ciai, senza Rolex e, soprattutto, senza Kalashnikov.

E proprio Che Guevara fu grande ispiratore della militanza politica di Mujica. Quando nel 1961 l’Ernestotiene il suo primo discorso a Montevideo, la capitale di un Uruguay diventato preda di poteri esterni reazionari e liberticidi, “Pepe” è lì ad ascoltarlo. E ne rimane affascinato.

Il Che parla del diritto dei popoli a una vita migliore, attraverso la scelta della democrazia. Ma avverte anche che se i diritti garantiti dalla democrazia dovessero cessare, allora al popolo non rimane che la forza per difendere la propria esistenza.

La forza è l’ultima risorsa, dice il Che, mentre tutti applaudono, entusiasti. E prosegue, la forza è la risorsa definitiva che spetta al popolo.

Era l’inizio degli anni sessanta, degli albori della repressione in Uruguay e nel resto dell’America Latina.

José Mujica non resta indifferente. Sceglie la lotta clandestina, come racconta in un testo che oggi occorrerebbe rileggere.

Si tratta de La felicità al potere, edito da Castelvecchi, un libro che ospita un’intervista esclusiva rilasciata a Montevideo a Cristina Guarnieri, biografia autorizzata di Mujica e scritta da Massimo Sgroi, che raccoglie i discorsi più importanti e famosi del Presidente, da cui ho preso spunto per segnalare in questo articolo le sue frasi più belle.

Qui José si racconta e racconta come il movimento MLN – Tupamaros di Raul Sendic, “El Bebe”, un socialista formatosi nelle lotte a fianco dei contadini sfruttati e senza terra, ha inizio.

Ispirato a Tupac Amaru, l’ultimo re Inca che si oppose strenuamente all’invasione degli spagnoli e condannato da questi a morte, il MLN è lo spazio politico che forma “Pepe” Mujica, che si assegna compiti di propaganda nelle scuole e di raccordo tra i guerriglieri e le basi di supporto del movimento. Ma anche di portare a termine autentici crimini, compiuti per finanziare il movimento.

Josè partecipa a furti e rapine e finisce in galera, per la prima volta, come un criminale comune.

Il carcere è un mondo estremamente particolare, dove le regole della vita ordinaria non valgono.
C’è molta gente che è assolutamente fuori di testa, altri sono davvero straordinari e di grande intelligenza, altri ancora non sanno neppure perché si trovino là.
Puoi subire le azioni più basse e cattive e, allo stesso tempo, vedere i peggiori delinquenti compiere atti di una generosità fuori del comune.
Com’è ovvio (ma non dovrebbe esserlo per niente), imparai cosa fosse la tortura.

La lotta armata e il Piano Condor

La lotta armata penetra in ogni angolo del paese. Il rischio di regime è, in Uruguay come nel resto dell’America Latina, concreto. Rastrellamenti e carcerazioni preventive sono all’ordine del giorno, ogni azione è permessa per sradicare le forze che si richiamano ai valori del socialismo e della democrazia.

“Pepe”, e con lui il movimento di Sendic, compiono la scelta più radicale: abbandonano la mediazione e davanti alle torture scelgono la forza come unica risposta possibile. Proprio come aveva udito dal Che.

Sono i tempi delle dittature militari in Sud America che sconvolgono il mondo: l’Argentina di Videla, il Cile di Pinochet, il Piano Condor, un insieme di operazioni dei regimi militari utilizzate come strumento, in svariati stati, per rovesciare governi eletti democraticamente, come quello di Salvador Allende in Cile.

Il vasto piano repressivo, insabbiato e reso invisibile agli occhi dei più per decenni, prevede un sistematico ricorso alla tortura dei sequestrati, per lo più studenti, giornalisti ed intellettuali, al fine di ottenere informazioni utili. L’obiettivo ultimo è sterminare completamente l’opposizione.

Così descrive il Sistema Condor Giulia Barrera, archivista del Piano:

Il Condor è stato un sistema di collaborazione illegale tra le dittature di alcuni Paesi latinoamericani che ha operato tra il 1975 e il 1980 al fine di compiere operazioni repressive clandestine e illegali nel Cono Sur per colpire persone che si erano rifugiate all’estero. Dal punto di vista giornalistico è noto come Plan Condor, in realtà i documenti interni utilizzano il termine “Sistema Condor” che è un’espressione che meglio rende l’idea di che cosa fosse veramente perché non si trattava di una singola operazione o di un singolo episodio repressivo ma di una struttura permanente.

Trovate l’intervista completa di Elena Basso a Giulia Barrera a questo link.

Un Sistema messo sotto accusa in Italia nel 2015 e che ha finalmente ottenuto giustizia.

In quel periodo José entra in clandestinità e assume il nome di battaglia di Facundo Piroga, in memoria di un combattente argentino sempre il primo in battaglia e sempre pronto ad aiutare gli amici e ad essere umano con i nemici. Finisce nuovamente in carcere e ci resta per più di dodici anni.

Pensate di dormire per dodici lunghi anni, di svegliarvi all’improvviso e di scoprire che niente è più lo stesso.

Una volta fuori dal carcere (si dice che ne fosse uscito con sottobraccio l’unica cosa che aveva posseduta, il suo vaso da notte) cambia nome di battaglia.

Ora si fa chiamare Ulpiano, come l’antico politico romano che sosteneva che le regole del diritto fossero vivere onestamente, non danneggiare nessuno, dare a ciascuno il suo.
Qualcosa è cambiato.

La scelta: dalla lotta armata alla lotta politica

Dopo gli anni di carcere, la svolta. Decide di proseguire la lotta, ma sul terreno politico.

Come racconta Franco Raimondi, nel suo libro Uruguay, un regime militare, nel 1981 comincia la transizione dal regime militare di fatto a un sistema democratico. Processo che culminerà nel 1984 con le prime elezioni politiche libere. Cadute le proscrizioni, ovvero l’inibizione a svolgere attività politica per circa duecento rappresentanti dei due partiti tradizionali, il Blanco (nazionalista) e il Colorado (socialdemocratico), le ruote della democrazia ricominciano a girare.

José Mujica sceglie l’impegno nella sinistra radicale, il Frente Amplio, e si candida a entrare in Parlamento. Viene proclamato eletto nel 1985, il primo dei tupamaros a entrare nel governo del paese. Indossa un paio di jeans e una giacca a vento nuovi di zecca.

Devi parlare sempre alla maggioranza della gente, altrimenti, se non ti capiscono, quello che fai sembra vuoto; i problemi che hanno le persone sono essenziali e, quasi sempre, sono gli stessi.

Il suo impegno politico lo porta a diventare Presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015. Per sua scelta, continua a vivere in una casa di campagna ai margini della città e a muoversi a piedi, come un qualunque cittadino.

Dal punto di vista personale, navigo nella solitudine della presidenza; dal punto di vista delle mie responsabilità e dei miei obblighi, nell’impegno e nel dovere di un vecchio che non ha possibilità di tornare indietro né di vedere l’avvenire.
Non voglio farmi intimidire dai miei sentimenti, perché ne ho bisogno per combattere contro la povertà.
Ho bisogno in realtà di tutti i sentimenti che il mio cuore custodisce. Come potrebbe essere altrimenti, visto che sono stato un vecchio combattente? Sarei un cinico se dicessi il contrario!
Però la mia condotta deve essere oggettiva e per questo devo avere il coraggio di gridare: «Patria per tutti e con tutti». Con tutti!

Le frasi più belle di José “Pepe” Mujica

Al di là della scelta violenta e rivoluzionaria, compiuta in un contesto storico determinato che oggi non si ripropone, almeno spero, José è stato una figura pubblica riconosciuta che ha influito non poco sulla mia vita, personale e politica.

Leggendo le sue interviste e la sua biografia, mi restano impresse alcune frasi da lui pronunciate che non hanno bisogno di spiegazioni. Le segnalo a voi così come le ho raccolte.



Lottiamo per essere liberi e non mi stancherò mai di spiegare che per essere liberi bisogna avere tempo: tempo da spendere nelle cose che ci piacciono, poiché la libertà è il tempo della vita che se ne va e che spendiamo nelle cose che ci motivano.
La libertà è un conflitto.
A ben guardare, infatti, abbiamo bisogno di libertà per dissentire, non per essere tutti d’accordo.

Chi richiede questa unità è la massa; ci siamo trasformati in un’alternativa reale perché la gente accompagna solo chi crede essere forte, sostiene solo chi le offre l’impressione di poter fare veramente qualcosa.
Per essere forti, i deboli devono unire molti pezzi, ma per questo devi essere aperto, tollerante, negoziatore, e avere programmi minimi, medi.
Non bisogna cercare di mettersi d’accordo su una utopia o su un modello ideale, questo è impossibile.
Ci si deve accordare su misure più piccole, di volta in volta. Bisogna abituarsi a camminare insieme, poi questa abitudine si trasformerà in tradizione.

Uno si deve chiedere se il radicalismo gli serve o no, se gli è utile per raggiungere i propri obiettivi o per mancarli; perché altrimenti, se il radicalismo servirà soltanto a indebolirlo, a metterlo in una situazione di impossibilità d’azione, potrà essere contento dell’immagine che offrirà agli altri ma non gioverà realmente a nessuno.

Noi ci avviciniamo alla politica per servire, non per servirci dello Stato. La buona fede è la nostra unica intransigenza, quasi tutto il resto è negoziabile.

L’unica cosa che non si compra sulla terra è la vita, dunque: sii avaro nel modo in cui la spendi!

Il problema è avere la capacità di interrogarsi, saper formulare domande feconde che suscitino nuovi sforzi di ricerca e di apprendimento.

Tempo per l’amore, tempo per le relazioni con gli altri, tempo per il gruppo di amici… cose piccole per il mondo, ma grandi per l’individuo. Tempo per una passione folle, tempo per l’hobby personale che emoziona ciascuno di noi e ci spinge verso qualcosa che ci gratifica, chi in una forma, chi in un’altra. Tutto questo è molto semplice, terribilmente semplice e, proprio per questo, altrettanto terribilmente dimenticato.

Ogni volta che cadete e vi sentite sconfitti rialzatevi in piedi, perché ogni giorno sorge una nuova alba.

Il vero magnete del progresso è il lavoro, lì risiede ogni punto di forza e di rilancio. Credo che l’uomo non sia un animale lavoratore. Ha imparato a lavorare per necessità, incorporando il lavoro come una abitudine. Anche a mo’ di abitudine, però, esso resta comunque la scoperta più grande della civiltà umana, attraverso cui l’uomo ha potuto costruire sempre più mondi, pieni di dolore ma anche di prosperità. L’essere umano ha in sé strumenti inimmaginabili per creare un mondo migliore.

José “Pepe” Mujica ha vissuto molte stagioni, la terribile malattia che lo ha colpito è solo l’ultima, sebbene la più impattante. Comprendo le sue ragioni di interrompere le cure e vivere gli ultimi giorni in silenzio.

Ora ha finalmente il potere di fermare il tempo e goderselo, camminando a testa alta verso la fine da uomo libero. Felice schiavo dei suoi principi.

Come un ultimo guerriero della luce.

**Elena Ferro sindacalista CGIL con la passione per la scrittura. Scopri di più a questo link

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