L’epopea della lotta per la casa a Roma, 1963-1985

Copertina libro: Ma noi non potevamo aspettare più

Il libro “Ma noi non potevamo aspettare più” dà voce alle testimonianze di chi in quegli anni diede vita ad un grande movimento che mise in discussione il potere politico ed economico della Capitale. A cura di Bruno Fusciardi.

Da tempo il quartiere romano della Magliana viene inevitabilmente associato alla nota “banda”. Serie televisive, una mole notevole di pubblicazioni e articoli hanno contribuito a creare una immagine ben precisa di uno dei quartieri più popolati e popolari di Roma.

Ma ci fu un tempo in cui la Magliana fu una delle realtà più avanzate e organizzate per quanto riguarda il movimento per il diritto alla casa. Stiamo parlando degli anni Settanta, quando la città si può ben dire divenne anche la capitale di chi rivendicava collettivamente un diritto primario.

La storia non solo delle lotte alla Magliana, ma del ciclo completo di quel movimento articolato e diffuso anche in altre città della penisola, è meritoriamente fatta riemergere dalle nebbie dell’oblio in contrasto con la pessima definizione “anni di piombo”, dal volume “Ma noi non potevamo aspettare più” curato da Bruno Fusciardi, con il contributo della storica Giulia Zitelli Conti, edito da Editpress Firenze.

Il libro si avvale di testimonianze, ricche e appassionate, di coloro, allora giovani attivisti e attiviste,  che furono protagonisti e protagoniste della grande stagione di conflittualità sociale e d pratiche democratiche dal basso.

Il tutto è stato possibile grazie all’incontro un po’ casuale tra Bruno Fusciardi, allora militante di Lotta Continua e soprattutto avanguardia del movimento, e Renato Fattorini, classe 1934, borgataro doc. L’obbiettivo, come scrive Bruno nella presentazione, è quello di trasmettere “dalla sua viva voce il valore, il significato di un impegno politico profuso disinteressatamente in un lungo periodo storico”. Precisamente dall’inizio degli anni Sessanta fino alla metà degli anni Ottanta.

Il libro è sostanzialmente diviso in due parti: nella prima attraverso la voce di Renato e anche di sua moglie Elisabetta in particolar modo ci si sofferma, intrecciando autobiografia politica con la storia personale, peculiarità di tutto il testo, sulle fasi iniziali del movimento con la prima occupazione a Cinecittà nel 1963. La seconda parte funge da ponte con la generazione del ’68 e si avvale delle testimonianze di coloro che furono in prima fila all’interno del comitato di lotta della Magliana. La sua storia è al centro di questa seconda sezione del testo, a partire da Antonio Molinari, che però è improvvisamente scomparso dopo tre mesi dall’inizio delle registrazioni dei colloqui con il curatore e quindi purtroppo non ha potuto vedere la fine del prodotto editoriale.

Il racconto di Renato Fattorini ci porta dentro la Roma degli anni Trenta, dentro Borgata Gordiani, una baraccopoli dove vive un’umanità povera, una realtà simili a tante in quegli anni, dove si sta tutti in una stanza con servizi igienici inesistenti o alquanto precari. In queste condizioni è facile prendere coscienza del proprio stato e incontrare la politica. Il padre di Renato dopo la guerra si iscrive al Pci, Renato un po’ casualmente aderisce al Partito socialista già a 16 anni. Inizia un percorso che successivamente lo porterà nel Psiup, nel Pdup, ma soprattutto a divenire un punto di riferimento imprescindibile del movimento. Una militanza che all’inizio deve fare i conti con un contesto urbano in trasformazione, come spiega nel saggio finale Giulia Zitelli Conti.

I “borghetti”, cioè le baraccopoli, sorgevano a ridosso delle borgate ufficiali. Il rilevamento statistico del Comune nel 1957 rileva che negli alloggi precari, grotte, ruderi e soprattutto baracche, risiedevano 54.576 persone. Ma Roma vivrà una crescita demografica tumultuosa che da 1.651.754 abitanti del 1955 passerà ai due milioni del 1961, fino ad arrivare ai 2.781.993 del decennio successivo, conseguenza di una emigrazione proveniente dalle regioni meridionali e anche centrali. Del resto molti degli stessi protagonisti del libro hanno origini extra romane e laziali.

La narrazione di Renato ci fa incontrare nomi illustri del mondo politico, sociale e culturale di allora, da Pier Paolo Pasolini, che girerà Accattone proprio a Borgata Gordiani, a Rocco Scotellaro; alcuni dei protagonisti del libro sono originari della Basilicata, come Molinari, Carla Capponi e Carlo Levi. La prima occupazione avviene nel 1963 a Centocelle, dopo che senza indugi si rompe con il Pci. Lo spiega bene Fattorini con la frase che dà il titolo al volume: troppi tentennamenti, troppi gradualismi, “ma noi non potevamo aspettare più”. C’era la voglia di cambiare senza rimandare, rifiutando i troppi compromessi.

Una generazione che aveva fretta e quindi quando esplode il biennio 68/69 la sintonia con quei giovani che tutto travolgono, tutto mettono in discussione è inevitabile. Con lo sviluppo impetuoso di una conflittualità sociale che innerverà l’Italia intera, le occupazioni si estendono a vari quartieri romani, da Centocelle, dove Renato conosce Antonio, alla Magliana, dal Quadraro a San Basilio, che nel 1974 vedrà l’uccisione del giovane militante dell’Autonomia Fabrizio Ceruso, rimasta impunita (una costante in quegli anni) a Cinecittà,  fino ad arrivare nel cuore della Capitale, al Celio.

Se nella prima fase degli anni Sessanta ad essere prese di mira erano le abitazioni di proprietà dello Iacp, nella fase di crescita e maturazione del movimento le occupazioni interessano le grandi proprietà dei “palazzinari” romani, da Piperno a Marchini. E qui inizia la seconda parte del testo, che vede al centro l’esperienza della Magliana raccontata prima da Molinari e poi dopo la sua scomparsa, da un certo numero di militanti di allora. Una polifonia che rende perfettamente l’idea di come il quartiere sia stato il cuore del movimento, dando vita a una stagione dove autonomia sociale e autogestione sono state ampiamente praticate, attraverso una presa di coscienza collettiva, con la costruzione di una grande comunità solidale che si è ripresa la vita, anzi, come rivendicava il programma di allora di Lotta Continua, si è presa la città.

Il tutto con grande difficoltà, facendo i conti con le manovre degli immobiliaristi  che arrivano a portare via porte, finestre e servizi igienici per cercare di impedire le occupazioni, in una zona della città nata su un’ansa del Tevere con case costruire in modo criminale e truffaldino, sotto il livello del fiume con tutte le relative problematiche.

Ma la determinazione, la necessità materiale di chi fino ad allora aveva vissuto in contesti ancora più difficili, prevalgono, si va a prendere il materiale imboscato, e con le proprie capacità manuali  si rendono gli appartamenti gradualmente abitabili. Nasce un’organizzazione capillare con il Comitato di lotta, il supporto delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare, i delegati di scala, con militanti e occupanti che vigilano su chi ne approfitta senza avere i requisiti per stare nelle case. A volte si trovano di fronte chi arriva a tirare fuori un fucile pur di rimanere, ma senza riuscire ad intimidire grazie al coraggio e alla decisione degli altri. Nel culmine della lotta la Magliana arriva a contare ben settecento case occupate, con duemilacinquecento autoriduzioni di affitto e utenze, pratica allora assai diffusa in tutta il Paese. E le donne sono protagoniste, come evidenziano la foto proposte nel volume, alcune di Tano D’Amico, molto note. Questa stagione tramonterà poi gradualmente, in sintonia con l’involuzione generale che caratterizza la seconda parte del decennio.

La diffusione della droga e la crescita della presenza della malavita organizzata fecero il resto. Inoltre a un certo punto le inadempienze dei costruttori nei confronti della banca portano la Bnl, il cui presidente è il socialista Nerio Nesi, ad acquisire gli appartamenti. E così per evitare le vendite frazionate, dopo un rifiuto iniziale gli occupanti accettano la proposta di acquistare le case a prezzo quasi di costo. Il segnale di una tendenza che nel giro di pochi decenni con l’affermarsi del mercato immobiliare privato a scapito dell’edilizia pubblica e sociale vedrà gradualmente il 70 % degli italiani diventare proprietario della propria abitazione, indebitandosi con i mutui.

Cala così il sipario su una fase unica, durante la quale, per citare una frase efficace di Erri de Luca, si affermarono gli “anni di rame”, cioè anni in cui i movimenti, la società italiana sprigionavano un’energia, un protagonismo di cui oggi ci sarebbe molto bisogno, in un contesto generale  in cui le diseguaglianze, le ingiustizie, le violenze del sistema sono cresciute in modo esponenziale.

Purtroppo non se ne vedono i segnali, ma la speranza è dura a morire. Allora ci possono essere di auspicio le parole di Albert Camus:  “Al sommo della più alta tensione, scaturirà lo slancio di una dritta freccia, dal tratto più duro e più libero”.

Fonte: https://www.pressenza.com/it/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

EnglishItalianPortugueseSpanish